Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Selene Pascasi sulla possibilità di conoscere e conoscersi meglio, provocare cambiamenti, attraverso le domande che soltanto la Poesia può porre.
Selene Pascasi, avvocato per un ventennio e oggi funzionario tributario, è giornalista, firma del Sole 24 Ore con all'attivo migliaia di pubblicazioni, critico musicale al Lunezia. Autrice di una monografia per Giappichelli, un lavoro criminologico per l'Accademia Americana di Scienze Forensi, 5 raccolte poetiche, 3 aforismari e 2 romanzi, vince molti Premi letterari. È ora in libreria con il romanzo Dimmi che esisto sulla violenza contro le donne (Chiocciola) e la silloge Un tempo minimo (Eretica)
Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?
Da sempre. La scrittura è cresciuta con me, quello con la poesia è un legame innato. Ho scritto versi fin da bambina quando annotavo su fogli sparsi i miei pensieri che, sebbene acerbi, erano comunque espressioni dei miei stati d’animo. Un groviglio di emozioni che mi vivevano dentro e che, pian piano, mi chiedevano forma e inchiostro. Così, vinta la barriera delle fragilità e del pudore, da adulta ho trovato il coraggio di mettermi a nudo con i lettori e pubblicare.
Che rapporto hai con la poesia?
Viscerale e inevitabile, perché non potrei fare a meno di scrivere. Ma la poesia per me non è solo nero su carta. È anche un modo speciale di guardare il mondo, percepirne ogni sfumatura, ogni dolore, ogni odore. Da un soffio di vento, da un profumo, dal pianto di un bimbo, dal sorriso sdentato di un vecchio, da un amore finito, da un sogno sospeso, da una promessa mancata e persino dal silenzio… tutto può partorire un verso. E poi grazie alla poesia riesco ad astrarmi da me stessa e osservarmi vivere e così conoscermi meglio.
Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?
Conta tantissimo in ogni periodo storico ma nel momento in cui viviamo conta molto di più perché si stanno perdendo punti di riferimento, la dignità sta lasciando il posto all’apparenza e la fedeltà alle coscienze rischia di diventare un optional. Ecco che la poesia può scrivere mille inizi, può risvegliare dall’apatia del vivere, può scuotere dall’anestesia del pensiero. E sai perché? Perché la Poesia sollecita le domande prima che le risposte, non ha scadenza e regala emozioni diverse ad ogni lettura. La Poesia è uno spiraglio di eterno che dovremmo imparare ad amare con tutti i sensi.
Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?
Non può, o meglio, è la parola dell’intelligenza artificiale che non può competere con quella umana. La nota AI è in grado di scrivere la poesia perfetta, rispettosa dei canoni imposti e talora anche abbastanza credibile. Ma mai e poi mai, la parola dell’intelligenza artificiale potrà veicolare l’animo e trascinarlo verso il lettore tanto da tatuargli addosso indelebili emozioni. Potrà donargli svago, sorrisi, ma sono sicura che non gli inietterà mai dentro quella sensazione di salvezza che solo la poesia umana è in grado di instillargli nel cuore.
Qual è la tua opera (o le tue opere) in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?
Tra le opere poetiche, la raccolta A un ricordo da te (Scrivere Poesia) perché si forma lentamente negli anni in cui ho assistito mio padre Silvio purtroppo volato via. Un periodo di simbiosi con lui in cui l’ho amato stringendo ogni istante consapevole che potesse essere l’ultimo. E prendersi cura di chi sprofonda (scrivo in Genesi “come quando si muore da vivi” / “come quando si vive da morti”) è un patto di lucidità con se stessi arduo da onorare. In narrativa, invece, tengo molto al romanzo d’esordio Dimmi che esisto – ripubblicato da Chiocchiola – perché tratta della violenza di genere. L’intento è di esortare le vittime di abusi a non sentirsi mai responsabili della brutalità maschile e non cercare a tutti i costi, fino a rischiare la vita, di mantenere in piedi un rapporto tossico pur di non restare da sole.
La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?
Può e deve farlo. Un Poeta ha l’obbligo morale di rivolgersi ai giovani, di sollecitarli a reagire, a riflettere, a tornare padroni delle proprie vite, a liberarsi dalla schiavitù del web, dei social e del cellulare che spegne la loro creatività. E poi la poesia è terapeutica perché aiuta a scovare i mostri che ci portiamo dentro, a farci pace e trarne la forza per rinascere. Insomma, la poesia è uno strumento dotato di una forza pazzesca, rivoluzionaria e salvifica.