giovedì 21 novembre 2024

Marthia Carrozzo/Claudio Fabi: Di bellezza non si pecca, eppure (O del corpo che muove prima), Kurumuni Edizioni (2022)


Ogni singola cellula dell'organismo può vibrare. Che sia del cuore o dei polmoni, che sia dei muscoli o della pelle, della parte più nascosta a quella più esposta del nostro corpo, dalla profondità alla superficie, ogni singola orbita di atomo della nostra essenza può vibrare. Ogni singola vibrazione può riprodurre un suono. Seguendo lo stesso percorso, dall'interiorità più segreta che propaga verso l'esterno, ogni suono che passa attraverso le corde vocali, si slancia dalla laringe, rimbalza tra il palato e i denti, viene modulato dalla lingua, facendosi voce, trova la sua essenza più materiale, più sensuale, può trasformarsi in parola. Chi conosce la poesia di Marthia Carrozzo, chi ha avuto la possibilità di leggerla, ma, soprattutto, di ascoltarla, sa quanto può essere musicale il suo modo di verseggiare, più esattamente, è un vero e proprio canto, che coinvolge anima e sensi, insieme. Ogni sillaba una nota, magicamente accostate e incastonate tra loro a comporre la melodia vocale che veicola il verbo. In questo caso un poemetto caratterizzato da una sapiente struttura anaforica. Ogni anafora, ogni iterazione, detta il ritmo e l'ipnotico incanto. Ogni ripetizione, come ogni battito, ogni respiro, è sempre uguale ma sempre diverso, come è sempre diverso il sangue pompato dal cuore in ogni battito, come è sempre diversa l'aria insufflata dai polmoni in ogni respiro. Seguendo questo stesso identico andamento, dalle viscere ai pori della pelle, di cui la sacerdotessa della Poesia conosce ogni linguaggio, ogni pulsione, ogni brivido, ogni effluvio, effonde verso l'estasi dei sensi, l'intreccio dei sensi. Lo stesso effetto, infatti, lo ottiene in chi ascolta: una commozione che sommuove il corpo in un trionfo di sensi. Questa la sfida che si propone e propone l'autrice nel libretto, uscito per Kurumuni Edizioni nel 2022, “Di bellezza non si pecca, eppure (O del corpo che muove prima), che fa parte della collana Camminamenti, di cui è anche direttrice. Attraverso le gesta dell'eroina di Otranto, Idrusa, in una versione riletta e riscritta, riportata sulle sue corde personali preferite, in cui la donna rivendica la gestione del proprio corpo, della propria sessualità libera e tracimante, che sa trovare la corrispondenza dei sensi anche nel conflitto imposto. Un esempio che viene dal passato per ispirare tutte le donne dei nostri giorni. Il poemetto è suddiviso in cinque canti, cinque incandescenti stanze, che poi apre, concedendo le chiavi segrete, al Maestro Claudio Fabi, per un intenso scambio che sarà dialogo e interazione. Il Maestro, in questi ambienti, si trova a suo perfetto agio, perché l'intesa con la padrona di casa è autentica e tocca punte di intimità profondissima; parlano la stessa lingua artistica anche se in forme diverse: la Musica e la Poesia. Fabi riesce a raccontarsi ampiamente, sin dalle sue origini musicali; dall'amore per la classica per poi approdare alla contemporanea, per una scelta intima e anche politica, inevitabilmente coinvolto nell'atmosfera rivoluzionaria degli anni settanta, che stravolgerà tutti i settori delle attività sociali e delle creatività sperimentali. Anni di affinamento della sensibilità artistica che lo hanno visto protagonista in campo internazionale sia come compositore sia come consulente di grandi musicisti. Anche se è bellissimo poi sentire raccontare degli anni passati come direttore artistico dell'etichetta discografica Numero Uno e della sua collaborazione con tutti i più grandi esponenti della canzone italiana. Lungo il racconto si delinea la sua affascinante idea di Arte, di fare musica, che ne esalta tutta la sua umile grandezza. Idea che metterà a disposizione di Marthia Carrozzo per una splendida interazione artistica che, a noi, non resta che leggere o, ancora meglio, ascoltare dal vivo. 


sabato 9 novembre 2024

Piano Piano on the Road (2013)

Per la rubrica: Viva la Musica dal Vivo, la pianista Alessandra Celletti ci racconta di una serie di concerti tenuti in giro per l'Italia come se fosse un unico continuo concerto, nato principalmente da una grande folle idea e dalla volontà di realizzarla. 




Alessandra, l'idea è talmente affascinante che non possiamo non partire dall'inizio, invitandoti calorosamente a raccontarci come e quando è nata questa idea. 

Era l’estate del 2013, e l’Italia si trovava nel pieno di una crisi economica. Nonostante le difficoltà, sentivo il bisogno di trasformare quel momento difficile in una sfida avvincente, un’opportunità di cambiamento. Non avevo nemmeno un concerto in programma, ma il desiderio di suonare per le persone era fortissimo. Così mi venne un’idea un po’ folle: caricare il mio pianoforte su un camion e portare la musica ovunque, attraversando l’Italia e percorrendo tutto lo stivale. Il progetto nacque dal mio desiderio di libertà e dal sogno di suonare per tutti, ovunque. Una raccolta fondi su Musicraiser rese possibile quell'avventura, coprendo interamente le spese e permettendomi perfino di guadagnare qualcosa. Ho scoperto la generosità delle persone e il loro amore per i progetti autentici. Mi sono sentita amata ed ero felicissima. 

Per “suonare ovunque” cosa intendi precisamente? Perché da quello e da come racconti non sembra che tu sia passata da luoghi classici come teatri o arene, o siti istituzionali…

Quell’estate suonai in luoghi incredibili: in riva al mare, immersa nei boschi, tra i sassi di Matera, e persino sulle montagne di Piano Battaglia in Sicilia, dove le mucche, con i loro campanacci, sembravano una piccola orchestra. Gli sguardi sorpresi e felici delle persone resteranno per sempre impressi nel mio cuore. Quella pazzia, alla fine, si trasformò in un successo e divenne anche un documentario: Piano Piano on the Road, prodotto da Primafilm e diretto da Marco Carlucci. Tra coloro che hanno sostenuto il mio viaggio c’era anche il regista francese Patrice Leconte, che scrisse un testo per presentare il progetto; un piccolo "gioiello" di parole che conservo come fosse una preziosa lettera d’amore:

"Conosco bene le composizioni di Alessandra Celletti, questa straordinaria pianista che, quando si siede al pianoforte, si illumina di una luce che la rende ancora più bella. Mi ha raccontato del suo progetto un po' folle, ma appassionante e originale: portare la musica in lungo e in largo, sedurre le persone lungo i chilometri. La immagino seduta al suo pianoforte, a bordo di un grande camion, avvolta dalla luce del tramonto, mentre le stelle cominciano a disegnare il cielo blu marino. Lei si lascia andare alle melodie più dolci, come un'immagine sognante di un film di Fellini."

Condivido pienamente il pensiero di Patrice Leconte e trovo di una generosità e genialità uniche l'idea di portare la musica tra la gente che abitualmente non ha la possibilità di frequentare i luoghi adibiti alla divulgazione della cultura. Cosa ti ha lasciato dentro questa esperienza? 

Quell’estate ha rappresentato una delle avventure più magiche della mia vita, un sogno realizzato grazie al potere della musica e alla forza dell'immaginazione. 









domenica 3 novembre 2024

Stefania Giammillaro: Errata Complice (peQuod Edizioni, 2024)



Quante corazze si devono indossare per affrontare la vita? Questa è la domanda che sembra serpeggiare insinuante tra le strofe di Stefania Giammillaro, senza che l'autrice stessa se ne accorga, o che consapevolmente voglia eludere, perché sa già la risposta. Sono infinite. Una per ogni singola stagione della vita e nessuna mai calza a pennello, lascia sempre qualcosa di scoperto e di estremamente vulnerabile. Anche se ci volesse abbracciare da soli, come ennesimo atto di protezione e benevolenza personale, sfuggirebbe, in ogni caso, qualcosa.  Cosi incede danzando, con leggerezza tragica, l'andamento delle liriche. Con lo stesso passo che avrebbe un’autrice allenata ai movimenti tersicorei, abituata a portarsi addosso pesi più grandi di lei. Le ingombranti corazze, appunto. La danza, si sa, prevede sudore e fatica. Durante una piroetta, durante un volteggio, si può sudare e si può sanguinare. Questo gruppo di strofe assomiglia a grumi di sangue e sudore sfuggiti all'autrice impegnata nel vitale slancio che procura piacere e dolore allo stesso tempo. Nuclei che fanno parte dell'essenza più profonda. Le parole di cui sono composti questi grumi si fondono chimicamente, per magiche leggi della fisica, quasi casualmente, in una casualità armonica scolpita nel marmo amorfo del caos. Si perde il senso ordinario, per trovare altri sensi, aprire varchi. Ogni combinazione di parole, è un varco, una ferita, una fessura, una crepa di luce, che supera la linea di confine dei significati. Per sentire sgranare e fuggire dalle mani il tangibile e rivestire di nuova sensualità l'inafferrabile. Polpa vibrante distillata chirurgicamente agli alambicchi della saggezza e della passione. Con quella saggezza che prevede il mettersi in gioco generosamente con tutta se stessa. La saggezza sfibrata che non può che esteriorizzare la guerra interiore. E interiorizzare le guerre esteriori. Le parole si allineano autonomamente in versi che trovano la loro intima metrica, senza punteggiatura, perché hanno una loro musicalità interiore, la stessa musicalità che può offrire un'anima nuda. Come se ogni virgola, ogni punto, fosse un inutile orpello che pone ulteriori ostacoli. Invece si sente prepotente l'esigenza di lasciare per strada ogni velo e mostrarsi finalmente in tutta la accecante purezza, che scava nel vuoto più assoluto, sviscera la solitudine più feroce. Anche se si dovesse incorrere in degli errori, non sarebbero semplici sbagli, o abbagli, sarebbero alleati in grado di illuminare l’errare, sarebbero complici, come vuole il titolo dell'opera. I grumi espulsi spargono tracce di esperienze vissute in cui si mescolano il passato e il presente, i sogni e gli incubi, il rapporto con se stessi e con Dio, che poi a volte è la stessa cosa, e quindi irrisolto, anche quando sembra arrivare la soluzione, irrisolvibile. Le gioie e i traumi, come, soprattutto, quello di un amore, che purtroppo a volte si può rivelare tossico, in grado di avvelenare una parte dell'esistenza e portarla a derive decisamente insane, fino all'annientamento. Fino a scarnificare le radici più profonde, quelle deĺle origini isolane. Il dialetto siciliano, così, riemerge come lingua principale, in filastrocca, che, l’autrice tornata bambina, canta a se stessa, per permette alle tracce di coagularsi in un percorso trascendente che implica, peccato, colpa e perdono. Perché si può perdonare il peccato e la colpa. Si può perdonare se stessi, errando, danzando. Santificando il peccato e la colpa.