domenica 6 novembre 2022

La mia intervista a Michele Conta (Locanda delle Fate)

 Le radici del prog (2018)



 

Michele Conta è un tastierista compositore dalla formazione classica ma che ha

espresso al meglio il proprio talento nell’ambito Rock, il progressive in particolare.

Negli anni settanta ha fatto parte della band La Locanda Delle Fate, una formazione

di musicisti visionari che ha vissuto da protagonista la scena musicale di quel

periodo con produzioni sensazionali, che sono entrate nella Storia della Musica

italiana e internazionale. Basta citare il disco d’esordio uscito nel 1977, “Forse le

lucciole non si amano più”. Con il cambiare delle mode musicali e il conseguente

scioglimento della band, Michele Conta ha preferito non adeguarsi ai nuovi generi

per rimanere fedele alla sua libertà creativa e dedicando il suo tempo all’attività di

medico. Pur sapendo che le sue composizioni storiche hanno viaggiato

enormemente nello spazio e nel tempo. Tant’è che Nel 2015 il grande produttore e

rapper americano Dr. Dre sceglie un suo arpeggio di pianoforte del brano Vendesi

Saggezza e cervello di seconda mano e lo usa come sample nella canzone For The

Love Of Money contenuta nel disco “Compton”. Tale disco giunge in Nomination

come miglior Album Rap ai Grammy Awards 2015. Successivamente il film ad esso

ispirato avrà la nomination come miglior sceneggiatura agli Oscar di Los Angeles.

Attualmente sta per uscire sulle principali piattaforme il disco “Endless Nights”

registrato agli studi Abbey Road di Londra. Abbiamo incontrato Michele Conta per

farci raccontare qualcosa sui vecchi e nuovi progetti.


Ciao Michele, il tuo strumento è il pianoforte e leggende narrano della tua

formazione avvenuta sotto la guida di Giuseppe Peirolo, compositore di musica

sacra… ma quando è avvenuta la decisione di dedicarti al pianoforte, quando è

scoccata la scintilla per lo strumento e per la musica?


“È probabilmente vero che ogni persona ha le proprie attitudini; infatti mia mamma

mi racconta che non camminavo ancora e già passavo il mio tempo cercando suoni

da strumenti giocattoli o tutto quello che mi capitava a tiro; però il vero inizio dello

studio della musica è venuto grazie sempre ai miei genitori che mi iscrissero da

bambino al Conservatorio; quindi per fortuna mi tolsi dalle scatole molto presto gli

anni meno appassionanti della teoria e del solfeggio. Durante questi anni ho avuto la

fortuna di incontrare un paio di insegnanti che oltre alla tecnica mi hanno trasmesso

il pensiero che la musica non è solo lo spartito scritto ma che esiste in quanto

espressione dell’anima…Questa libertà di fronte alla tastiera ha probabilmente

facilitato la mia vena compositiva. In particolare sono stati importanti gli anni passati

a girare le pagine durante i concerti di organo del mio maestro Giuseppe Peirolo.”


Quanto ti ha dato la conoscenza della musica sacra nel tuo stile compositivo? 


“Accanto a partiture un po’ noiose ho potuto conoscere della musica fantastica…

Non so se hai mai provato a entrare in una chiesa con l’organo a canne al massimo,

con i registri principali che ti sparano una musica che ti avvolge in modo totale… ti

senti veramente in un altro mondo… E inaspettatamente le stesse sensazioni le

provai da lì a poco durante un concerto rock… Ti racconto che durante l’estate i miei

genitori mollavano me e mia sorella in un campeggio di Albenga per un paio di mesi

e una sera col gruppo di amici decidemmo di andare a vedere il concerto di un

complesso allora sconosciuto: era il primo tour italiano dei Genesis. Nonostante il

palasport forse veramente piccolo ti assicuro che era praticamente vuoto e, a dir

tanto, ci saranno stati 300 ragazzi. Beh io ero praticamente seduto per terra con

davanti a pochi metri Peter Gabriel che cantava…… in pratica di fronte avevo una

parte della storia della musica moderna senza saperlo… Credo che sia nato lì

l’amore per quel genere che molti anni dopo sarebbe stato nominato come rock

progressive. Ritrovai il modo di suonare di Tony Banks alle tastiere non lontano dai

classici del Conservatorio; addirittura la pedaliera dei bassi suonata da Michael

Rutheford aveva la stessa profondità dell’organo a canne, il tutto però in una

sonorità nuova, potente, con suoni distorti che noi ragazzi sentivamo molto vicina…

Di lì a poco nella mia città vidi suonare una band che si chiamava Locanda delle

Fate e che faceva cover nei vari locali.”


È così che sei entrato nella band La Locanda Delle Fate che però ancora non

produceva brani originali. Con il tuo ingresso invece è arrivata la svolta, anche se

avevi soltanto diciassette anni… come è nata la sintonia con gli altri musicisti che

vi ha fatto pensare che potevate dare questo contributo alla musica italiana?


“Quei ragazzi con qualche anno in più di me, cercavano un pianista e mi convinsero

a provare con loro; nello stesso periodo entrarono anche i chitarristi Ezio Vevey e

Alberto Gaviglio. Noi tre convincemmo gli altri a fare musica nostra e dopo circa un

anno di prove nacque “Forse le lucciole non si amano più”. In quel periodo la

sintonia tra di noi era totale e veramente magica; ci si capiva al volo e i brani

musicali si sviluppavano velocemente uno dietro l’altro. Eravamo gasati perché ci

rendevano conto man mano che stava nascendo una musica sopra le righe, almeno

rispetto a quello che si sentiva in giro. Ma mai più avremmo immaginato che quei

brani sarebbero stati apprezzati per cosi tanto tempo…”


Eterno direi. La Storia ci insegna, infatti, che questo album è considerato un

capolavoro assoluto del genere e vi ha elevato a protagonisti della scena musicale

progressive… Dopo anni di difficoltà assoluta del genere progressive e di tuo esilio

volontario sei tornato in Studio per registrare l’album “Endless Nights”, e dal primo 

singolo estratto, È Nell'Aria, il sound sembra comunque appartenere al

progressive. Ci puoi dire qualcosa in più?


“Purtroppo i momenti magici non durano per sempre… Penso perché il tempo fa

evolvere ogni persona in modo differente dall’altra. Ricordo tempo fa di aver letto

un’intervista di George Harrison che alla fine diceva: “every band lives for a time”, e

secondo me le eccezioni che esistono sono proprio quelle che confermano la regola

(leggi Rolling Stones e pochissimi altri). Se ti parlo di tempi più recenti partirei dal

nostro vecchio manager Niko Papathanassiou, fratello del grande Vangelis. Da anni

era ritornato a vivere in Grecia si può dire “da pensionato” però ritornava in Italia un

paio di volte all’anno a trovare le sue figlie a Milano e in quelle occasioni era solito

prendere il treno e venire a trovarmi per passare qualche ora a parlare di musica e

ad ascoltare le mie nuove idee e questo penso lo facesse ringiovanire di un bel po’ di

anni… In definitiva è stato lui a convincermi a cercare altri musicisti per

concretizzare quelle idee e magari buttarmi in un progetto discografico. Io che

venivo dall’era analogica avevo bisogno di acquisire anche nozioni di quella

cosiddetta digitale e un negozio di musica mi segnalò un insegnante di computer

music e tecnico del suono che rispondeva al nome di Simone Lampedone. Si

appassionò subito al mio progetto e gli arrangiamenti dei brani sono stati realizzati

praticamente a quattro mani con una bella Intesa… Questo è un vero e proprio LP

perché uscirà in vinile ma anche in cd e contiene 7 brani. Non so dirti se sia vero

progressive. Certamente ho mantenuto la mia libertà di scrittura lasciando libera la

fantasia (ma non i barocchismi o testi aulici tipici degli anni 70). Riflette il nostro

tempo che scorre veloce, un po’ nevrotico ma anche con momenti riflessivi e

serenità.”


Quindi c’è un legame con il passato perché Niko Papathanassiou è anche il

produttore di “Forse le lucciole non si amano più” e c’è anche un ponte verso il

futuro prossimo grazie a Simone Lampedone e gli altri musicisti. Si sente un feeling

eccezionale con Gavin Harrison ed Ermanno Brignolo, ci vuoi raccontare qualcosa

di questa sintonia?


“Le chitarre del primo pezzo sono di Max Arminchiardi, grande rocchettaro Torinese

che però ha subito lasciato il progetto per motivi personali. La ricerca di un secondo

chitarrista non è stata facile. Di Ermanno Brignolo mi colpì soprattutto il fatto che

passasse con incredibile facilità da suonare Segovia con la chitarra classica al rock

più duro. Con molta pazienza all’inizio ha cercato la chiave per entrare nel cuore

della mia musica finché dopo qualche mese le emozioni sono cominciate ad arrivare

alla grande. Sicuramente l’incontro con Gavin Harrison ha dato al progetto una

marcia in più… Infatti è da molti considerato tra i più bravi batteristi al mondo. Mi disse: 

fammi sentire il materiale, poi ti faccio sapere se rientra nelle mie corde.

Infatti nell’ambiente si sa che lui suona solo la musica che gli va a genio e devo

confidarti che ad esempio un mio brano che non lo ispirava, abbiamo preferito

accantonarlo. Spenderei anche una parola per gli Abbey Road. Al di fuori appaiono

mitici, quando li frequenti non puoi fare a meno di farti degli amici: In due parole

competenza abbinata a disponibilità nel capire il musicista: qualità che non sempre

trovi nelle altre sale di registrazione.”


Per concludere vorrei chiederti se per te questo disco ha dei significati particolari…

È Nell’Aria è un titolo terribilmente evocativo, cosa vuol dire per te? Forse un

nuovo inizio?


“Endless Nights è il secondo brano ma dà il titolo a tutto il lavoro; esprime il bisogno

di rubare qualche ora alla notte soprattutto per lasciar correre il pensiero nel

silenzio… È Nell’Aria evoca sicuramente il futuro e l’imminente presente. Quindi

anche quello che sta per succedere, a volte lo puoi percepire a volte purtroppo no,

come è successo per le torri gemelle, e… se ti metti sotto la Freedom Tower, con

accanto a te la stazione Oculus a forma di ali di Colomba, e guardi in alto verso la

cima del grattacielo, ti senti infinitamente piccolo e non può non venirti nell’anima il

pensiero dell’infinito, dell’aldilà, di tutto quello che c’è oltre alla nostra

quotidianità… lì intorno non c’è il silenzio, perché sei in centro a New York, però

percepisci che è un’atmosfera molto particolare che non può farti non riflettere… “







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