Le radici del prog (2018)
Michele Conta è un tastierista compositore dalla formazione classica ma che ha
espresso al meglio il proprio talento nell’ambito Rock, il progressive in particolare.
Negli anni settanta ha fatto parte della band La Locanda Delle Fate, una formazione
di musicisti visionari che ha vissuto da protagonista la scena musicale di quel
periodo con produzioni sensazionali, che sono entrate nella Storia della Musica
italiana e internazionale. Basta citare il disco d’esordio uscito nel 1977, “Forse le
lucciole non si amano più”. Con il cambiare delle mode musicali e il conseguente
scioglimento della band, Michele Conta ha preferito non adeguarsi ai nuovi generi
per rimanere fedele alla sua libertà creativa e dedicando il suo tempo all’attività di
medico. Pur sapendo che le sue composizioni storiche hanno viaggiato
enormemente nello spazio e nel tempo. Tant’è che Nel 2015 il grande produttore e
rapper americano Dr. Dre sceglie un suo arpeggio di pianoforte del brano Vendesi
Saggezza e cervello di seconda mano e lo usa come sample nella canzone For The
Love Of Money contenuta nel disco “Compton”. Tale disco giunge in Nomination
come miglior Album Rap ai Grammy Awards 2015. Successivamente il film ad esso
ispirato avrà la nomination come miglior sceneggiatura agli Oscar di Los Angeles.
Attualmente sta per uscire sulle principali piattaforme il disco “Endless Nights”
registrato agli studi Abbey Road di Londra. Abbiamo incontrato Michele Conta per
farci raccontare qualcosa sui vecchi e nuovi progetti.
Ciao Michele, il tuo strumento è il pianoforte e leggende narrano della tua
formazione avvenuta sotto la guida di Giuseppe Peirolo, compositore di musica
sacra… ma quando è avvenuta la decisione di dedicarti al pianoforte, quando è
scoccata la scintilla per lo strumento e per la musica?
“È probabilmente vero che ogni persona ha le proprie attitudini; infatti mia mamma
mi racconta che non camminavo ancora e già passavo il mio tempo cercando suoni
da strumenti giocattoli o tutto quello che mi capitava a tiro; però il vero inizio dello
studio della musica è venuto grazie sempre ai miei genitori che mi iscrissero da
bambino al Conservatorio; quindi per fortuna mi tolsi dalle scatole molto presto gli
anni meno appassionanti della teoria e del solfeggio. Durante questi anni ho avuto la
fortuna di incontrare un paio di insegnanti che oltre alla tecnica mi hanno trasmesso
il pensiero che la musica non è solo lo spartito scritto ma che esiste in quanto
espressione dell’anima…Questa libertà di fronte alla tastiera ha probabilmente
facilitato la mia vena compositiva. In particolare sono stati importanti gli anni passati
a girare le pagine durante i concerti di organo del mio maestro Giuseppe Peirolo.”
Quanto ti ha dato la conoscenza della musica sacra nel tuo stile compositivo?
“Accanto a partiture un po’ noiose ho potuto conoscere della musica fantastica…
Non so se hai mai provato a entrare in una chiesa con l’organo a canne al massimo,
con i registri principali che ti sparano una musica che ti avvolge in modo totale… ti
senti veramente in un altro mondo… E inaspettatamente le stesse sensazioni le
provai da lì a poco durante un concerto rock… Ti racconto che durante l’estate i miei
genitori mollavano me e mia sorella in un campeggio di Albenga per un paio di mesi
e una sera col gruppo di amici decidemmo di andare a vedere il concerto di un
complesso allora sconosciuto: era il primo tour italiano dei Genesis. Nonostante il
palasport forse veramente piccolo ti assicuro che era praticamente vuoto e, a dir
tanto, ci saranno stati 300 ragazzi. Beh io ero praticamente seduto per terra con
davanti a pochi metri Peter Gabriel che cantava…… in pratica di fronte avevo una
parte della storia della musica moderna senza saperlo… Credo che sia nato lì
l’amore per quel genere che molti anni dopo sarebbe stato nominato come rock
progressive. Ritrovai il modo di suonare di Tony Banks alle tastiere non lontano dai
classici del Conservatorio; addirittura la pedaliera dei bassi suonata da Michael
Rutheford aveva la stessa profondità dell’organo a canne, il tutto però in una
sonorità nuova, potente, con suoni distorti che noi ragazzi sentivamo molto vicina…
Di lì a poco nella mia città vidi suonare una band che si chiamava Locanda delle
Fate e che faceva cover nei vari locali.”
È così che sei entrato nella band La Locanda Delle Fate che però ancora non
produceva brani originali. Con il tuo ingresso invece è arrivata la svolta, anche se
avevi soltanto diciassette anni… come è nata la sintonia con gli altri musicisti che
vi ha fatto pensare che potevate dare questo contributo alla musica italiana?
“Quei ragazzi con qualche anno in più di me, cercavano un pianista e mi convinsero
a provare con loro; nello stesso periodo entrarono anche i chitarristi Ezio Vevey e
Alberto Gaviglio. Noi tre convincemmo gli altri a fare musica nostra e dopo circa un
anno di prove nacque “Forse le lucciole non si amano più”. In quel periodo la
sintonia tra di noi era totale e veramente magica; ci si capiva al volo e i brani
musicali si sviluppavano velocemente uno dietro l’altro. Eravamo gasati perché ci
rendevano conto man mano che stava nascendo una musica sopra le righe, almeno
rispetto a quello che si sentiva in giro. Ma mai più avremmo immaginato che quei
brani sarebbero stati apprezzati per cosi tanto tempo…”
Eterno direi. La Storia ci insegna, infatti, che questo album è considerato un
capolavoro assoluto del genere e vi ha elevato a protagonisti della scena musicale
progressive… Dopo anni di difficoltà assoluta del genere progressive e di tuo esilio
volontario sei tornato in Studio per registrare l’album “Endless Nights”, e dal primo
singolo estratto, È Nell'Aria, il sound sembra comunque appartenere al
progressive. Ci puoi dire qualcosa in più?
“Purtroppo i momenti magici non durano per sempre… Penso perché il tempo fa
evolvere ogni persona in modo differente dall’altra. Ricordo tempo fa di aver letto
un’intervista di George Harrison che alla fine diceva: “every band lives for a time”, e
secondo me le eccezioni che esistono sono proprio quelle che confermano la regola
(leggi Rolling Stones e pochissimi altri). Se ti parlo di tempi più recenti partirei dal
nostro vecchio manager Niko Papathanassiou, fratello del grande Vangelis. Da anni
era ritornato a vivere in Grecia si può dire “da pensionato” però ritornava in Italia un
paio di volte all’anno a trovare le sue figlie a Milano e in quelle occasioni era solito
prendere il treno e venire a trovarmi per passare qualche ora a parlare di musica e
ad ascoltare le mie nuove idee e questo penso lo facesse ringiovanire di un bel po’ di
anni… In definitiva è stato lui a convincermi a cercare altri musicisti per
concretizzare quelle idee e magari buttarmi in un progetto discografico. Io che
venivo dall’era analogica avevo bisogno di acquisire anche nozioni di quella
cosiddetta digitale e un negozio di musica mi segnalò un insegnante di computer
music e tecnico del suono che rispondeva al nome di Simone Lampedone. Si
appassionò subito al mio progetto e gli arrangiamenti dei brani sono stati realizzati
praticamente a quattro mani con una bella Intesa… Questo è un vero e proprio LP
perché uscirà in vinile ma anche in cd e contiene 7 brani. Non so dirti se sia vero
progressive. Certamente ho mantenuto la mia libertà di scrittura lasciando libera la
fantasia (ma non i barocchismi o testi aulici tipici degli anni 70). Riflette il nostro
tempo che scorre veloce, un po’ nevrotico ma anche con momenti riflessivi e
serenità.”
Quindi c’è un legame con il passato perché Niko Papathanassiou è anche il
produttore di “Forse le lucciole non si amano più” e c’è anche un ponte verso il
futuro prossimo grazie a Simone Lampedone e gli altri musicisti. Si sente un feeling
eccezionale con Gavin Harrison ed Ermanno Brignolo, ci vuoi raccontare qualcosa
di questa sintonia?
“Le chitarre del primo pezzo sono di Max Arminchiardi, grande rocchettaro Torinese
che però ha subito lasciato il progetto per motivi personali. La ricerca di un secondo
chitarrista non è stata facile. Di Ermanno Brignolo mi colpì soprattutto il fatto che
passasse con incredibile facilità da suonare Segovia con la chitarra classica al rock
più duro. Con molta pazienza all’inizio ha cercato la chiave per entrare nel cuore
della mia musica finché dopo qualche mese le emozioni sono cominciate ad arrivare
alla grande. Sicuramente l’incontro con Gavin Harrison ha dato al progetto una
marcia in più… Infatti è da molti considerato tra i più bravi batteristi al mondo. Mi disse:
fammi sentire il materiale, poi ti faccio sapere se rientra nelle mie corde.
Infatti nell’ambiente si sa che lui suona solo la musica che gli va a genio e devo
confidarti che ad esempio un mio brano che non lo ispirava, abbiamo preferito
accantonarlo. Spenderei anche una parola per gli Abbey Road. Al di fuori appaiono
mitici, quando li frequenti non puoi fare a meno di farti degli amici: In due parole
competenza abbinata a disponibilità nel capire il musicista: qualità che non sempre
trovi nelle altre sale di registrazione.”
Per concludere vorrei chiederti se per te questo disco ha dei significati particolari…
È Nell’Aria è un titolo terribilmente evocativo, cosa vuol dire per te? Forse un
nuovo inizio?
“Endless Nights è il secondo brano ma dà il titolo a tutto il lavoro; esprime il bisogno
di rubare qualche ora alla notte soprattutto per lasciar correre il pensiero nel
silenzio… È Nell’Aria evoca sicuramente il futuro e l’imminente presente. Quindi
anche quello che sta per succedere, a volte lo puoi percepire a volte purtroppo no,
come è successo per le torri gemelle, e… se ti metti sotto la Freedom Tower, con
accanto a te la stazione Oculus a forma di ali di Colomba, e guardi in alto verso la
cima del grattacielo, ti senti infinitamente piccolo e non può non venirti nell’anima il
pensiero dell’infinito, dell’aldilà, di tutto quello che c’è oltre alla nostra
quotidianità… lì intorno non c’è il silenzio, perché sei in centro a New York, però
percepisci che è un’atmosfera molto particolare che non può farti non riflettere… “
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