domenica 18 dicembre 2022

La mia intervista a Matilde Marcuzzo

 Baciata in divieto di sosta (2020)


Per iniziare la nostra chiacchierata vorrei partire dal titolo che hai scelto per la tua raccolta: “Baciata in divieto di sosta”. Dalla lettura emergono una serie di racconti veloci in precario e affascinante equilibrio linguistico che sembrano parlare della tua interiorità di autrice e viene da chiedere cosa rappresenta per te questa raccolta e come nasce la scelta del titolo?

Baciata in divieto di sosta è un libro molto importante e innovativo. Io stessa amo definirlo “sperimentale” perché il testo non è altro che una raccolta di brevissimi pensieri tragicomici. Niente poesia, niente prosa. Ho immaginato il mio lavoro, come una rappresentazione teatrale in unico atto, dove le pagine indicano tanti sipari e dove l’unica protagonista è lei, la donna, la lady che regola tutte le vicende. Una o tutte le donne del mondo che, attraverso un viaggio metaforico a bordo di un’auto, raccontano cosa sia il percorso della vita, fatto di soste, “smacchi e problemi quotidiani” e divieti, “dolori e rinunce”. Non ho dovuto pensare tanto al titolo, è venuto da sé. Quando è nata l’idea di scrivere questo libro, con la proiezione in testa di un viaggio virtuale sui sentimenti umani a quattro ruote, attraverso una conducente donna, ho riflettuto sul senso di velo tragicomico che volevo dare alle pagine ed è stato quasi folgorante pensare ad un bacio, “un lieto sentimento” in un luogo dove è proibito sostare l’auto o il “cuore”.

Colpisce soprattutto la padronanza nello sperimentare giocosamente con la lingua. Viene da chiedere come si è evoluto il tuo stile nel tempo, se è lunga ricerca o naturale predisposizione, e che cosa rappresenta la parola in questo periodo storico in cui prevale la comunicazione telematica? 

Assolutamente naturale indole. Nel momento in cui “Baciata in Divieto di Sosta” è venuto alla luce era già pregno di momenti semiseri, frasi buffe, fatti teatralmente pronti alla battuta, degni di un palco cartaceo che sotto le mie mani andavano in scena freneticamente e, testimoni di un messaggio di protesta drammaticamente scherzoso. La parola che porta in dono il libro è criptica ma, talmente aperta al linguaggio dei tempi che stiamo vivendo, tale da far in modo che la retorica, il gioco di virtuosismi eclettici, la metrica moderna sia volutamente accarezzata da un nonsense che mira a volere comunicare sentimenti, quasi attraverso un ventaglio di scena o le ciglia di una donna ferita che tenta di imparare dalle vicissitudini dell’esistenza ripartendo ancora più forte di ogni sua sosta.

Dalla tua biografia (che possiamo ampiamente trovare all’interno della raccolta di racconti) si evince una viscerale passione verso tutto quello che riguarda la scrittura. Hai partecipato a vari concorsi, sei promotrice di eventi ma viene la curiosità di sapere come nasce questa passione. Ti ricordi la prima volta che hai provato emozione con la penna in mano? 

Io penso che non si possa individuare con esattezza un momento preciso in cui l’individuo inizi a dedicarsi con accurata attenzione a qualunque cosa possa far di lui un artista. Per questo motivo, io sono fermamente convinta che la passione per qualsiasi forma d’arte nasca assieme a noi. Il genio precursore di una nostra particolare abilità è insito dentro di noi ancora prima di vedere il mondo. Si tratta solamente di individuare lo starter di una presa di coscienza dell’estro. Quando l’artista comprende di essere tale, di avere in sé delle qualità da poter trasmettere attraverso una passione, ecco che la più alta espressione del suo Io si diffonde. L’artista è compiaciuto all’interno delle sue emozioni e vuole condividere le sue abilità col prossimo, proiettare all’esterno la sua anima per appagare o placare le sensazioni. Ho iniziato a scrivere quando mi sono resa conto che in me stessa dormiva una penna che aveva solo bisogno di essere impugnata, che c’era un’adolescente indifesa ma, forte che voleva sfogarsi in un pianto d’inchiostro per dare forma ai tumulti del pensiero. Provo sempre emozione tutte le volte che mi va di scrivere e ho solo prepotente e sana “voglia di dire”.

Ti sei espressa attraverso tutte le forme della scrittura. Poesia, narrativa, giornalismo… tu in che ambito ti trovi più a tuo agio? Cosa ti senti maggiormente? 

Adoro il giornalismo, l’informazione, motivo per cui ho accettato collaborazioni con quotidiani locali e riviste d’arte varia; prediligo con affetto la narrativa, amo leggere e qualche anno fa ho messo alla prova le mia capacità scrivendo un romanzo breve sulla condizione delle spose bambine in India ma, è la poesia che fa battere più forte il mio cuore. Nel comporre versi, io assumo un atteggiamento di pura ispirazione, di estasi del pensiero o catarsi del mio essere. Mi è capitato molte volte di sentirmi dire da alcuni lettori che leggere una mia poesia sembra quasi voler dire “poter vedere con occhi vivi le immagini che balzano fuori dalle pagine di contenuto”. Io sono felice perché ciò significa che ho dato di riflesso, un’emozione. L’arte della parola, il suo uso appropriato e mai “stonato” è qualcosa che appartiene solo a chi, bene sa fare suonare le corde dell’anima di chi ne ascolta il suono.

Delle tue opere precedenti ce n’è qualcuna che ritieni più rappresentativa? 

Sono affezionata a tutte le mie opere, questa è cosa ovvia ma, ce ne sta una in particolare che potrei definire rappresentativa. La mia prima raccolta di poesie “La luce dell’ombra”. Un testo poetico che racchiude molte opere giovanili e attuali. Un lavoro accurato che poggia le sue fondamenta sulla conoscenza dell’anima innamorata dell’amore. L’humus della silloge è totalmente filosofico, aiutato da trasfigurazioni e accostamenti musicali e cinematografici con l’unico scopo di diffonderne il messaggio essenziale: “Anima poetica e verso amoroso si colmano a vicenda in una metafisica essenza di scrittura plasmata dalle arti, da quel “nuovo sentimento” capace di invadere fisicamente lo spirito sino all’organo maggiore.”

Che percorso ti piacerebbe prendesse questa tua ultima opera? Cosa ti piacerebbe rimanesse nel lettore attento? 

I have a dream…. Vorrei che “Baciata in Divieto di sosta” venisse letto da molte donne, vorrei far giungere loro il mio messaggio originale di protesta e rinascita interiore. Soltanto attraverso la consapevolezza della propria qualità interiore si può arginare il pericolo o la delusione che in questa esistenza, puntualmente ci sfida lungo il tragitto dei sentimenti. Ogni lettrice dovrebbe conservare, dopo la lettura, l’insegnamento del viaggio interiore come ricerca del più alto valore della sua stessa anima. Ogni uomo invece, ogni “malcapitato” lettore, poter giungere al ritrovamento del valore femminile arricchendone a sua volta il proprio.

Ci sono stati e ci saranno eventi in programma riguardo la tua ultima opera su cui ci vuoi informare? 

Il 29 Febbraio scorso ho presentato il mio Libro presso i locali di Palazzo Bevilacqua a Curinga, una località a 20 km dalla mia città natale, Lamezia terme. L’evento si è svolto in occasione dell’apertura della Rassegna Letteraria 2020 “Cunti, Canti e..”. Molta gente è intervenuta, oltre al sindaco Vincenzo Serrao e il presidente de “Associazione per Curinga” Vincenzo DeNisi. Ci sono molte foto della presentazione sulla mia pagina FB “Le poesie di Matilde Marcuzzo” e un video amatoriale in occasione della serata disponibile su: www.youtube.it - www.curinga-in.it - www.curinga-insieme.it - www.curinga.weboggi.it 






domenica 11 dicembre 2022

La mia intervista a Fabrizio Fazio

                 L’uomo dei tamburi 

                

Questa è la storia di un giovane che ha deciso di seguire le sue passioni e andare 

controcorrente, scegliendo di radicare la sua attività di costruttore di tamburi nel piccolo 

borgo natio, Gangi, in provincia di Palermo. Il suono dei tamburi è qualcosa che lo 

accompagna fin dalla nascita, è un richiamo che ha radici perse nel tempo, crescendo 

dentro di lui fino a diventare motivo di vita e modo di comunicare, la sua arte, 

i suoi moti interiori, al posto delle parole. Al contrario di quanto farebbero tanti suoi 

coetanei che tendono a sportarsi verso le grandi città in cerca di opportunità, lui, la sua 

opportunità, se l’è costruita nel piccolo centro, aprendo la bottega artigiana e seguendo 

le antiche tradizioni di produzione per creare i suoi strumenti. L’amore e la cura per il 

suo lavoro hanno permesso che l’eco di quei suoni emessi arrivasse tanto lontano da 

richiamare gente estimatrice da tutto il mondo. Questa è la storia di Fabrizio Fazio, 

l’uomo dei tamburi, che oggi ci racconta della sua sfida vinta e di quelle ancora da 

giocare. 



Per come si sono evoluti gli eventi nella tua vita sembra che sia stato il tamburo a 

scegliere te e non il contrario. Come è nata la passione per questo strumento? 


La mia passione nasce dalla pancia di mia madre, proprio dalla nascita, da quell’antico 

suono ancestrale di quegli antichi tamburi suonati un giorno prima della festa (la 

domenica dalle Palme a Gangi. Ndr) per annunciarla, in modo che la gente pulisca la 

strada che deve essere percorsa dalla processione l’indomani. Poi a 4 anni mi ritrovo in 

una antica foto con un tamburo in mano, quindi, adesso ne ho 32 e ho milioni di 

tamburi. Che significa? Ci si deve nascere, punto e basta. Siamo artisti. 


La costruzione di questo strumento richiede una particolare lavorazione che 

preferisci consumare in solitudine. A cosa è dovuta questa scelta? A una maggiore 

intimità con lo strumento come quella di una madre per la sua creatura o altro?


I tamburi nascono 8000 anni fa nell’antica Mesopotamia per permettere la 

comunicazione dei suoi abitanti nei boschi. Nascono da una porzione di tronco d’albero 

svuotato, e tendendo sopra una pelle di capra, diventata pergamena, lavorata con 

l’antica calce idrata, cenere per disinfettare all’interno, aglio, limone e sgrassata con 

pietra pomice. Si verifica che quando soffia il vento, il tamburo si alza e reagisce. 

Di solito la pelle si scuoia la notte con la luna piena, la tramontana. La capra ”strippa” 

vergine e mai figliata, dice l’anziano saggio, questo comporta che la nascita del nuovo 

arrivato, del nuovo figlio, avvenga nella solitudine, riflessione e serenità di noi artigiani 

artisti. 


Sei un artigiano e dai vita alla materia. Nelle tue parole torna spesso la metafora 

della maternità. Forse perché lo vedi nascere proprio dalle tue mani? 


Ogni tamburo, ripeto, è come un figlio: si fanno tutti in un modo, ma con caratteri, colori 

della pelle e dei capelli, tutti diversi gli uni dagli altri. Ogni tamburo rappresenta per me 

un figlio sempre, e diverso da tutti gli altri. 


Un rapporto viscerale, quindi, come quello che hai con la tua terra. In qualche 

modo nel tuo strumento sembra di sentire i suoni della tua isola… 


Il tamburo è rotondo quindi rappresenta la terra. È rotondo come la pancia di una madre 

che aspetta la nascita del proprio figlio. Il cuore del bambino batte come se fosse un 

tamburo. Il tamburo è tondo anche come il sole con i suoi sonagli o dischetti che 

rappresentano i raggi. Poi la pelle si monta, non a caso, prima a nord, poi a sud, poi 

ancora a est, e quindi a ovest e al centro dei quattro lati che abbiamo formato in un 

cerchio. Il cielo stellato, quindi, il suono del mare, la pioggia, il vento, c’è tutto in questi 

tamburi. 


La tecnologia di questo periodo storico, così poco materiale, come può aiutare a 

valorizzare il tuo lavoro artigianale? 


Oramai grazie ai mass media sono conosciuto in tutto il mondo, grazie anche ai video che 

i tantissimi estimatori mi dedicano e che fanno girare in qualsiasi parte del pianeta. La    

mia arte è conosciuta e apprezzatissima da tanta gente quindi mi permette un contatto 

più veloce e diretto per poter permettere anche la vendita dei miei prodotti.


Tra i tanti estimatori ci sono anche moltissimi artisti che hanno colto la preziosità

del tuo lavoro. Ci puoi rivelare il nome di qualche musicista che utilizza i tuoi

strumenti?


I miei tamburi girano il mondo arrivando fino alle isole Faroe in Islanda. Da Richard 

Smith fino a Biagio Antonacci, per non parlare di Tosca Donati, Renzo Arbore, Giuseppe 

Milici,Fiorella Mannoia, Eugenio Bennato, Mario Incudine, Marisa Fiordaliso e tantissimi 

altri ancora, usano i miei tamburi.


Ricevi tanti apprezzamenti da tanta gente proveniente da ogni angolo del mondo e

invece i tuoi concittadini come accolgono la tua attività?


Quando sette anni fa ho acquistato l’immobile con bottega alla base, sentivo la gente

mormorare, perché sembrava strano vedere aprire un’attività da parte di un 

giovanissimo come me nel centro storico, poi pian piano si sono resi conto che con la mia 

voglia e con la mia volontà sono riuscito a raccogliere estimatori da tutto il mondo. 

Adesso la gente della mia cittadina è meravigliata, mi fa i complimenti e mi augura tanta 

fortuna.


La fortuna te la sei conquistata grazie alla tua determinazione e sei riuscito a

toglierti tante soddisfazioni. Ci sono ancora dei sogni che vorresti realizzare per o

con i tuoi tamburi?


Il mio sogno è semplicissimo: quando morirò voglio essere ricordato per la persona che

sono, gentile e scherzosa; per avere dato un contributo e aver portato milioni di visitatori

nel mio antico borgo Gangi ed essere soprannominato Fabrizio Fazio, l’uomo dei 

tamburi.



domenica 4 dicembre 2022

La mia intervista a Joanna Longawa

 Le Prove Dell'Esistenza (2022)


Joanna Longawa è nata in Polonia.Dal 2006 vive a Roma. Laureata in Editorship alla prestigiosa Università Jagiellonski di Cracovia, ha conseguito il master di Insegnamento della lingua polacca agli stranieri presso l’Università Slaski a Roma. La letteratura, l’arte, le lingue e l’Italia sono le sue eterne passioni. Giornalista, poetessa, traduttrice, scrive in italiano, polacco, spagnolo e inglese. Ha scritto il libro "Le prove dell’esistenza" durante gli studi nel 2003; nel 2020 ha creato la seconda edizione aggiornata durante la quarantena.


Da qualche mese il tuo libro "Le Prove Dell'esistenza" è in tutte le librerie e sta suscitando parecchia curiosità. Visto che abbiamo la possibilità di chiederti qualcosa ti va di partire dall'inizio, di raccontarci la genesi di questo lavoro?

Il mio libro è nato a Roma durante la pandemia, il primo lockdown nel 2020/21. Lo promuovo da lì. Il mio testo è una metafora di quello che ci è successo. Durante la chiusura, avendo tanto tempo per creare e pensare, ho ritrovato le bozze di un libro scritto nei tempi di studi universitari a Cracovia, poi le ho tradotte e adattate alla situazione presente, anche se la storia all’incirca è rimasta la stessa. Un’artista polacca, pittrice, subisce un trauma, una violenza. Questo stato di choc la porta a chiudersi in sé stessa, nella propria casa dove - in piena inerzia artistica - cerca di ritrovare il suo volto e talento perduto nella lettura e nei profili di vari artisti, attivisti e scrittori, donne e uomini, tra cui Frida Kahlo, Virginia Woolf, Eve Ensler, Alex Gros, Oscar Wilde e tanti altri. Quello che legge lo analizza con gli occhi di una pittrice, quindi attraverso le forme e i colori facendo molti riferimenti all’arte, sia polacca che straniera.

Il titolo sembra suggerire un testo rivelatore, dalla lettura, invece, emerge più una urgenza di porre domande che quella di dare risposte. Potrebbe essere una chiave di lettura del tuo libro?

Le prove dell’esistenza sono tutto quello che la mia protagonista senza nome fa ogni giorno. Ogni giorno – pensa, legge, analizza, si dà il coraggio per continuare a vivere, parla con sé stessa - la sua attività di vittima è ammirevole. Anche se soffre e si sente “rotta” in qualche modo questa sua ricerca intellettuale della nuova realtà e il porsi le domande è una sua lotta, una cura per darle più forza per, di nuovo, alzarsi dal letto. Come ha detto Federico Moccia, autore della nota all’interno del libro, “qui ogni capitolo è come uno di quei pizzicotti che ci si dà quando si vuol essere certi di essere ben svegli, un modo per dimostrare che si esiste davvero”.

Interessante la tecnica di scrittura che si muove tra vari generi e tra vari livelli di lettura, in un flusso disordinato di pensieri. Da cosa nasce questa esigenza?

La forma è lo specchio della situazione in cui vive la protagonista. C’è la prosa (la quotidianità), c’è il dramma (la situazione vissuta) e c’è la poesia (i momenti belli nella giornata). A volte questa forma sembra disordinata ma realmente ha la sua logica. Ogni capitolo vive con la propria vita ma tutti insieme sono un’integrità, segnano l’avanzamento psicologico della protagonista. Passo dopo passo la donna trova il senso in quello che sta vivendo, leggendo, osservando, analizzando. La forma è anche omaggio al postmodernismo, un ampio movimento ideale che si è sviluppato tra la metà e la fine del XX secolo attraversando la filosofia, le arti, l'architettura e la critica, di cui mi sono innamorata durante i miei studi universitari a Cracovia. C’è qui, dunque, l’influenza di Jacques Derrida (decostruzionismo) e Roland Barthes (semiologia).

Grazie per aver citato le tue influenze. Te le avrei chieste.

La protagonista è una pittrice che all'interno del libro vive quello che sembra un percorso di rinascita, scrive in italiano ma è polacca, cita autori polacchi, è scritto in prima persona, tutto fa pensare a qualcosa di autobiografico. In tutti i romanzi c'è sempre qualcosa dell'autore nei personaggi. In questo quanto?

Come ho detto già varie volte, il testo non è autobiografico. Anche se per forza in ogni libro ci si nascondono delle esperienze degli autori, loro viaggi, sensazioni, letture, esperienze personali, conoscenze o altro. Qui abbiamo una donna che rappresenta tutte le donne e uomini in generale. La mia artista è la mia porte parole nel senso che simbolizza il dolore e guarigione tramite l’arte di ogni vittima di una violenza (fisica, psicologica, bulling, Covid ecc.). È la mia voce contro questa violenza, la voce che dà all’arte e alla lettura e alla cultura in generale un posto molto importante nella vita umana. È un libro simbolico, intertestuale, magari è una digressione del mio subconscio [sorride]. Il testo, come vi ho già svelato, è nato, nella sua versione originale durante gli studi a Cracovia, perciò sì, c’è là dentro la mia città, ci sono tanti nomi polacchi, posti da me visitati, artisti da me ammirati, ma il messaggio del testo rimane universale.

Vivi da tanti anni in Italia ma sei molto legata, ovviamente, alla cultura del tuo Paese. Vorresti suggerire un ponte tra la cultura polacca e quella italiana?

L’Italia e la Polonia sono connesse da tantissimi secoli. Filip Buonaccorsi, toscano, ha portato da noi il rinascimento. Da lì abbiamo avuto forti scambi culturali, artistici e universitari per esempio, il nostro primo poeta nazionale “Petrarca polacco”, Jan Kochanowski, studiava a Padova. L’inno nazionale polacco è nato sulle terre italiane (Reggio Emilia) e, curiosità, nel testo dell’inno di entrambi si menzionano i nomi dei nostri Paesi. Una delle nostre regine era italiana, Bona Sforza di Bari. Stanislao Leszczynski, re polacco, ha inventato il babà, oggi il dolce tipico napoletano. Canova, pittore veneto, ha passato gli ultimi anni della sua vita a Varsavia creando i suoi ritratti più belli che poi sono stati usati per ricostruire la città dopo la distruzione della seconda guerra mondiale. Nel 1944 le truppe polacche sotto gli inglesi hanno liberato dai nazisti Roma e Bologna, e proprio vicino a Roma, a Monte Cassino, si trova il cimitero polacco più conosciuto all’estero. Questi sono solo alcuni esempi del nostro forte legame culturale e storico. Per me l’Italia è la seconda patria. 15 anni a Roma sono molti. L’Italia mi ha segnato, modificato, sicuramente non sono più la stessa. Aggiungo anche che il mio trisnonno era italiano. L’Italia, dunque, c’è anche nel mio sangue, anche se in piccole percentuali. Osservo con distanza il mio Paese ma amo entrambi. La lontananza della patria madre crea nell’anima di un immigrante una sorte di nostalgia. A volte mi sento come Fryderyk Chopin che dalla nostalgia della Polonia ha creato i notturni più belli. Può darsi, che io dalla mia nostalgia ho creato “Le prove dell’esistenza” {sorride].

Il percorso di rinascita sembra passare attraverso dei simboli fondamentali. Cosa rappresenta la simbologia per te?

Ho già accennato sopra che il mio libro è simbolico. Il simbolo è importante per interpretare bene ogni messaggio nascosto, ogni significato. Le cose terra terra sono noiose. Il simbolo è un mistero. Il simbolo è la poesia. Il simbolo sono parole, gesti o cose. Con i simboli cambia il mondo. I simboli fanno brillare il nostro lobo frontale. Non nascondo l’influenza di semiologo Ferdinand de Saussure, antropologo Lévi-Strauss e filosofo Mircea Eliade. Nel mio libro troverete vari simboli, alcuni sono: la porta, la finestra o la mano. Il resto, scopritelo da soli!

La protagonista è una donna, come te. Cosa ne pensi dello stato attuale della donna nella società moderna, in Italia, in Europa o nel resto del mondo che conosci?

Questo è un tema infinito. Purtroppo, la violenza di genere è aumentata dopo il lockdown. È anche una delle ragioni per cui ho dato a questo tema così tanta importanza. In Europa ci sono tanti casi ma ci sono i Paesi che sono messi ancora peggio di noi come quelli latinoamericani, non parlando di alcuni paesi arabi. C’è bisogno di toccare questo tema sempre e difendere diritti umani. Adesso mi sto preparando per pubblicare il mio libro nella lingua spagnola, che spero arriverà a tutto il mondo latino e aiuterà a chi soffre gli abusi. Vorrei che un percentuale della vendita andasse alle vittime di violenze. Con me si sono uniti 20 artisti dell’America Latina e di Spagna, tra cui due icone dell’arte mondiale: Ramòn de Vargas (Spagna) e Víctor Delfín (Peru) dei quali le opere si troveranno sulla copertina. Ripeto sempre (e quello è uno dei messaggi del libro), nell’arte c’è la speranza. L’arte salverà il mondo.

Questo è un messaggio potente. Quale altro messaggio vorresti mandare alle donne di oggi?

Il mio messaggio è a tutti quelli che si sentono abusati, violati, traumatizzati: la strada verso la guarigione è larga, è lunga, è piena di dolore ma è possibile uscirne. Una volta un attore non vedente mi ha confessato che durante la pandemia quando è morta sua moglie, l’unica cosa che gli ha dato la forza di andare avanti era l’arte, il teatro… Questo vale anche per me. Quando è morta mia mamma e negli altri momenti pesanti della mia vita è stata sempre con me lei, l’arte: la cultura e la scrittura che mi salvavano la vita. Se non avete più nulla, aggrappatevi alla cultura. La cultura vuol dire anche l’educazione e la conoscenza. Le donne di tutti i Paesi devono poter studiare liberamente. Questa autocoscienza di “saper di valere” è essenziale per evitare alcune situazioni anomali e abusi. Aiutare a creare l’arte è anche obbligo di ogni società, ogni Paese dovrebbe creare dei centri per i giovani “complicati” che li tolgono dalle strade e aiutano a sviluppare la loro creatività. Da ammirare è anche l’attività culturale di alcune associazioni artistiche come MArteLive di Roma e la loro iniziativa, seguita da Giuseppe Casa e Oriana Rizzuto, “L’Arte non ha sbarre” che ha come obiettivo il portare l’arte e la cultura in quei luoghi in cui donne e uomini, privati della temporanea libertà, abbiano tuttavia la possibilità di un nuovo di formazione e di sperare in un futuro migliore. Ripeto, l’arte è la Speranza, apre nuovi orizzonti e cuori. Può darsi che il mio libro non cambi il mondo, ma può darsi che aiuterà ad una persona in qualcosa. E quel “qualcosa” varrà più che l'oro.