domenica 11 dicembre 2022

La mia intervista a Fabrizio Fazio

                 L’uomo dei tamburi 

                

Questa è la storia di un giovane che ha deciso di seguire le sue passioni e andare 

controcorrente, scegliendo di radicare la sua attività di costruttore di tamburi nel piccolo 

borgo natio, Gangi, in provincia di Palermo. Il suono dei tamburi è qualcosa che lo 

accompagna fin dalla nascita, è un richiamo che ha radici perse nel tempo, crescendo 

dentro di lui fino a diventare motivo di vita e modo di comunicare, la sua arte, 

i suoi moti interiori, al posto delle parole. Al contrario di quanto farebbero tanti suoi 

coetanei che tendono a sportarsi verso le grandi città in cerca di opportunità, lui, la sua 

opportunità, se l’è costruita nel piccolo centro, aprendo la bottega artigiana e seguendo 

le antiche tradizioni di produzione per creare i suoi strumenti. L’amore e la cura per il 

suo lavoro hanno permesso che l’eco di quei suoni emessi arrivasse tanto lontano da 

richiamare gente estimatrice da tutto il mondo. Questa è la storia di Fabrizio Fazio, 

l’uomo dei tamburi, che oggi ci racconta della sua sfida vinta e di quelle ancora da 

giocare. 



Per come si sono evoluti gli eventi nella tua vita sembra che sia stato il tamburo a 

scegliere te e non il contrario. Come è nata la passione per questo strumento? 


La mia passione nasce dalla pancia di mia madre, proprio dalla nascita, da quell’antico 

suono ancestrale di quegli antichi tamburi suonati un giorno prima della festa (la 

domenica dalle Palme a Gangi. Ndr) per annunciarla, in modo che la gente pulisca la 

strada che deve essere percorsa dalla processione l’indomani. Poi a 4 anni mi ritrovo in 

una antica foto con un tamburo in mano, quindi, adesso ne ho 32 e ho milioni di 

tamburi. Che significa? Ci si deve nascere, punto e basta. Siamo artisti. 


La costruzione di questo strumento richiede una particolare lavorazione che 

preferisci consumare in solitudine. A cosa è dovuta questa scelta? A una maggiore 

intimità con lo strumento come quella di una madre per la sua creatura o altro?


I tamburi nascono 8000 anni fa nell’antica Mesopotamia per permettere la 

comunicazione dei suoi abitanti nei boschi. Nascono da una porzione di tronco d’albero 

svuotato, e tendendo sopra una pelle di capra, diventata pergamena, lavorata con 

l’antica calce idrata, cenere per disinfettare all’interno, aglio, limone e sgrassata con 

pietra pomice. Si verifica che quando soffia il vento, il tamburo si alza e reagisce. 

Di solito la pelle si scuoia la notte con la luna piena, la tramontana. La capra ”strippa” 

vergine e mai figliata, dice l’anziano saggio, questo comporta che la nascita del nuovo 

arrivato, del nuovo figlio, avvenga nella solitudine, riflessione e serenità di noi artigiani 

artisti. 


Sei un artigiano e dai vita alla materia. Nelle tue parole torna spesso la metafora 

della maternità. Forse perché lo vedi nascere proprio dalle tue mani? 


Ogni tamburo, ripeto, è come un figlio: si fanno tutti in un modo, ma con caratteri, colori 

della pelle e dei capelli, tutti diversi gli uni dagli altri. Ogni tamburo rappresenta per me 

un figlio sempre, e diverso da tutti gli altri. 


Un rapporto viscerale, quindi, come quello che hai con la tua terra. In qualche 

modo nel tuo strumento sembra di sentire i suoni della tua isola… 


Il tamburo è rotondo quindi rappresenta la terra. È rotondo come la pancia di una madre 

che aspetta la nascita del proprio figlio. Il cuore del bambino batte come se fosse un 

tamburo. Il tamburo è tondo anche come il sole con i suoi sonagli o dischetti che 

rappresentano i raggi. Poi la pelle si monta, non a caso, prima a nord, poi a sud, poi 

ancora a est, e quindi a ovest e al centro dei quattro lati che abbiamo formato in un 

cerchio. Il cielo stellato, quindi, il suono del mare, la pioggia, il vento, c’è tutto in questi 

tamburi. 


La tecnologia di questo periodo storico, così poco materiale, come può aiutare a 

valorizzare il tuo lavoro artigianale? 


Oramai grazie ai mass media sono conosciuto in tutto il mondo, grazie anche ai video che 

i tantissimi estimatori mi dedicano e che fanno girare in qualsiasi parte del pianeta. La    

mia arte è conosciuta e apprezzatissima da tanta gente quindi mi permette un contatto 

più veloce e diretto per poter permettere anche la vendita dei miei prodotti.


Tra i tanti estimatori ci sono anche moltissimi artisti che hanno colto la preziosità

del tuo lavoro. Ci puoi rivelare il nome di qualche musicista che utilizza i tuoi

strumenti?


I miei tamburi girano il mondo arrivando fino alle isole Faroe in Islanda. Da Richard 

Smith fino a Biagio Antonacci, per non parlare di Tosca Donati, Renzo Arbore, Giuseppe 

Milici,Fiorella Mannoia, Eugenio Bennato, Mario Incudine, Marisa Fiordaliso e tantissimi 

altri ancora, usano i miei tamburi.


Ricevi tanti apprezzamenti da tanta gente proveniente da ogni angolo del mondo e

invece i tuoi concittadini come accolgono la tua attività?


Quando sette anni fa ho acquistato l’immobile con bottega alla base, sentivo la gente

mormorare, perché sembrava strano vedere aprire un’attività da parte di un 

giovanissimo come me nel centro storico, poi pian piano si sono resi conto che con la mia 

voglia e con la mia volontà sono riuscito a raccogliere estimatori da tutto il mondo. 

Adesso la gente della mia cittadina è meravigliata, mi fa i complimenti e mi augura tanta 

fortuna.


La fortuna te la sei conquistata grazie alla tua determinazione e sei riuscito a

toglierti tante soddisfazioni. Ci sono ancora dei sogni che vorresti realizzare per o

con i tuoi tamburi?


Il mio sogno è semplicissimo: quando morirò voglio essere ricordato per la persona che

sono, gentile e scherzosa; per avere dato un contributo e aver portato milioni di visitatori

nel mio antico borgo Gangi ed essere soprannominato Fabrizio Fazio, l’uomo dei 

tamburi.



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