domenica 27 ottobre 2024

Bud Powell: La gioia tra le dita

Per la rubrica: Archeologia musicale, la storia del musicista che, con il pianoforte, riusciva a raggiungere Charlie Parker nei suoi voli di note. 



Probabilmente uno dei momenti più importanti della sua carriera Bud Powell lo tocca nel 1947 quando Charlie Parker lo chiama a far parte della sua orchestra, nel pirotecnico quintetto che dà vita al progetto Charlie Parker All Stars, che vede tra gli altri Miles Davis alla tromba e Max Roach (vedi sotto) alla batteria. Il destino mette insieme quella che probabilmente è la staffetta più importante del bebop. Parker e il suo sax e Powell che con il piano riesce a fare quello che Parker fa con il suo strumento. Bud, è il nomignolo di Earl Rudolph, nato e cresciuto in una famiglia di musicisti; sviluppa affinità per il pianoforte fin da bambino, sullo strumento studia e si esercita a lungo su un repertorio classico, ma la scintilla che fa scattare l'innamoramento la percepisce con l'ascolto dei brani di James P. Johnson (vedi sotto) e Art Tatum. Bud si porta dentro lo stile stride, lo metabolizza nel profondo e poi, quando finalmente lo sente suo, lo rivoluziona. Raggiunge una tecnica grazie alla quale riesce a svincolare le mani da qualsiasi fissità o riferimento. Entrambe le mani hanno la libertà di fare da armonizzazione o improvvisazione melodica con arabeschi di fraseggi eseguiti ad altissima velocità. Grazie a questa tecnica riesce a riprodurre con il piano gli assoli volteggianti che Bird improvvisava con la tromba. Le dita planano leggere sulla tastiera del piano, sfiorano i tasti sulle punte dei polpastrelli, non sembrano nemmeno premerli, ma ogni tasto premuto, ogni nota spremuta, sprizza gioia musicale, gioia per chi ascolta, gioia per chi suona. Una gioia che aveva dentro anche se costretta a convivere con il malessere psichico. Una sorta di schizofrenia incurabile per quei tempi. Una notte del 1945, alla fine di un concerto tenuto con il suo mentore Thelonious Monk, vagabondava per strada insieme a lui, tutti e due ubriachi, per smaltire l'adrenalina e coccolare la creatività. Vennero arrestati per bivacco, ma forse soltanto perché neri e sbronzi, da un corpo di una polizia privata e con l'occasione pestati di botte; I forti colpi ricevuti alla testa contribuirono notevolmente ad acuire la sua patologia. Da quella notte Bud iniziò a soffrire di fortissime emicranie, di amnesie, di disturbi del comportamento, che non riusciva a tenere a bada con nessuna medicina, neanche con potenti psicofarmaci. L'unico momentaneo e illusorio sollievo lo forniva l'alcool o la Marijuana. In più di un'occasione negli anni è stato ricoverato per svariati mesi in cliniche, o arrestato per possesso di sostanze e sottoposto a quella che credevano la migliore cura in quel periodo, la terapia elettroconvulsiva. L'elettroshock, ovviamente, non migliorava affatto la sua salute, anzi ne minava ancora di più le condizioni fisiche. Nonostante la malattia e i ricoveri, per tutti gli anni cinquanta ha tenuto concerti memorabili, ha suonato con i più grandi musicisti del periodo e composto alcuni dei brani più belli che il Jazz possa vantare. Pezzi come Dance Of The Infidels o Un Poco Loco, Tempus Fugue It o Bouncing With Bud, trasportano la sua gioia musicale fino a noi oggi. Nel 1959 decide di rimettersi in sesto fisicamente e si allontana dal suo ambiente trasferendosi a Parigi. dove vive un barlume di temporaneo benessere. Suona in Jam Sassion con Kenny Clarke e Pierre Michelott e dal vivo riesce ancora a sprigionare tutto il suo talento. Il fisico indebolito, però, non ha più le difese necessarie a respingere gli attacchi esterni. Contrae la tubercolosi e la dipendenza dall'alcool lo abbatte ancora di più. Negli ultimi anni si lascia andare, perde quasi la vista, non riesce più ad affrontare i sintomi sempre più gravi della sua malattia. Muore all'età di quarantuno anni alla totale deriva. Se un pizzico di quella gioia che trasmetteva con la sua musica, oltre che provarla mentre la eseguiva, la avesse conservata per sé e per la sua vita, probabilmente sarebbe stata meno tormentata e più lunga, ma non possiamo intrometterci tra quello che la Musica dà e toglie, e dobbiamo ritenerci fortunati se ci ha dato la possibilità di ascoltare ancora e per sempre il talento gioioso di Bud Powell.



MAX ROACH:

JAMES P. JOHNSON:







domenica 20 ottobre 2024

Concerto al Central Pub di Montecosaro (Mc) - 4 luglio 2024

Per la rubrica: Viva la Musica dal Vivo,  Filippo Marangoni ci racconta l'emozione di portare, il progetto appena partorito, davanti al pubblico,  con i Flamingo. 



Dopo tantissimi anni di esperienza sui palchi di tutta la penisola suonando blues e rock blues (cover e tributi etc) ho finalmente dato impulso all'esigenza interiore di raccontare qualcosa di personale, che comprendesse le mie esperienze ed influenze raccolte nel corso della vita. La Band si chiama Flamingo, abbiamo realizzato un album blues oriented di 11 brani inediti ed ho iniziato quest'avventura componendo in solitudine linee melodiche e progressioni armoniche con il mio strumento, la chitarra. L'emozione più grande è stata poi quella di condividere le mie "bozze" con altri musicisti della Band, i quali hanno via via apportato il loro contributo ed insieme, con impegno e sacrificio abbiamo visto crescere e prendere forma a delle semplici idee che sono diventate canzoni. Un'altro fondamentale passaggio è stato quello di provare effettivamente in Studio con tutti i musicisti l'esecuzione di queste nuove canzoni ed è stata davvero una bella emozione per me che le ho concepite integralmente, quella di veder realizzare una realtà (musicale) partendo da una semplice intuizione. 



In questo periodo storico un album blues oriented mi fa pensare ad atmosfere da pub, in cui la gente vuole il contatto diretto con i musicisti, sorseggiando una birra, e se la proposta non è coinvolgente si avverte subito che qualcosa non va. Immagino l'emozione e la tensione…

L'emozione prima del primo concerto di presentazione dell'Album era palpabile… quello stato emozionale che è un mix di adrenalina e preoccupazione, il momento cruciale in cui bisognava salire sul palco e mettersi completamente in gioco, suonando la propria musica e sperando che la reazione del pubblico fosse positiva. Tenendo conto del fatto che il pubblico più vasto non aveva mai ascoltato i brani del disco per cui la curiosità da un lato e la preoccupazione dall'altro erano massime. Rotto il ghiaccio con l'esecuzione del primo brano in scaletta, tutto è andato se vogliamo "in discesa", abbiamo iniziato a suonare tutti più sciolti ed improvvisare sulle strutture armoniche dei nostri brani con maggiore libertà, e mentre il concerto proseguiva cresceva via via di intensità e ciò generava un maggiore coinvolgimento del pubblico. 

E questo entusiasmo avrà avuto un effetto positivo anche su di voi che vi stavate esibendo…

Sentire gli applausi, e l'apprezzamento spontaneo e manifesto della gente è stata davvero un'emozione molto bella, che ci ha ripagato del grande impegno trasfuso nel progetto, delle nottate trascorse ad arrangiare, provare e di nuovo rivedere il lavoro per cercare di migliorarlo, e che ci ha dato lo stimolo a proseguire sulla strada intrapresa sempre con maggiore entusiasmo e forza d'animo, pur sapendo quante difficoltà incontra una band di musica originale inedita.

Cosa vi ha lasciato dentro un'emozione del genere?

L'aver quindi registrato un Album e portato dinanzi al pubblico nei live la nostra musica è stata la conclusione di un percorso che ha visto apprezzare anche all'esterno ciò che era stato creato, mettendosi in gioco. Tutte emozioni positive che premiano l'impegno ed il sacrificio che c'è dietro un lavoro del genere. Il tutto può sintetizzarsi nel potere che la musica ha di unire una band nell'obbiettivo comune di fare musica con il cuore, e dell'insegnamento che deve trarsi, ovvero che è sempre importante credere in se stessi e non aver paura di esporsi, naturalmente se si è consapevoli di aver dato il meglio, il valore del sacrificio in fondo. 









sabato 12 ottobre 2024

Uno strumento per arrivare all’Altro

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Cristina Simoncini sulla possibilità ancora fondamentale della condivisione attraverso la comunicazione. 


Nata a San Giovanni Valdarno (Arezzo) il 10 marzo del 1966, Cristina Simoncini è rimasta a lungo solo lettrice prima di cominciare a scrivere. Ha pubblicato poesie su riviste cartacee (Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, Nova Rivista d’arte e di scienza) e su molti spazi virtuali (fra i quali Avamposto, Limina Mundi, La rosa in più, Circolare poesia eccetera). Sta lavorando alla sua prima opera poetica.

Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione? 

L’ho apprezzata da sempre, da bambina, a scuola, dove si imparavano a memoria, o recitandole con mia madre, e poi alle Superiori e all’Università, con consapevolezza maggiore. Solo da una decina d’anni a questa parte però la leggo e studio con regolarità e grande passione, e ho iniziato a scrivere.

Che rapporto hai con la poesia? 

Buono direi, fatto di passione, di attenzione e di cura. La poesia non è comunque la mia vita, non coincide con essa. Nessuna esasperazione, partecipazione a tutti i costi, eccetera. Mi piace essere letta da persone comuni, quello sì. 

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

Per me la parola è uno strumento per arrivare all’Altro, persone e realtà soprattutto, memoria, esperienze significative condivisibili. Conta molto se produce cura dell’Altro, quindi, anche attraverso procedimenti di immedesimazione. L’abuso è nel farla diventare strumento di uso dell’Altro, in più sensi. Un lavoro attento sulla parola produce consapevolezza e attenzione, è fondamentale. In ogni campo credo, non solo in poesia.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

Con lo studio, con la padronanza dei mezzi e della tecnologia, con la passione, con il rimanere ancorati alla realtà, alla concretezza. 

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare? 

Non ho opere mie pubblicate se non su riviste, se è questo che intendi. Sulle singole poesie è difficile da dire. Ma ci sono molte opere degli altri in cui mi riconosco e che sento mie, dai romanzi di Faulkner a quelli di Onetti alle poesie di Mark Strand o di Seamus Heaney. In quello che ho scritto sino a oggi, avendo una componente autobiografica forte, mi riconosco sicuramente. È la mia esperienza della realtà e degli altri, il modo in cui ne sono stata attraversata.

La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni? 

Sì, credo che le nuove generazioni avranno la loro poesia, con cui comunicare, in un modo che solo loro, protagonisti del tempo che verrà, sanno. Magari molto diverso dal nostro, dato che si confrontano con uno sviluppo dei mezzi di comunicazione così variegato e complesso.