Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Cristina Simoncini sulla possibilità ancora fondamentale della condivisione attraverso la comunicazione.
Nata a San Giovanni Valdarno (Arezzo) il 10 marzo del 1966, Cristina Simoncini è rimasta a lungo solo lettrice prima di cominciare a scrivere. Ha pubblicato poesie su riviste cartacee (Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, Nova Rivista d’arte e di scienza) e su molti spazi virtuali (fra i quali Avamposto, Limina Mundi, La rosa in più, Circolare poesia eccetera). Sta lavorando alla sua prima opera poetica.
Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?
L’ho apprezzata da sempre, da bambina, a scuola, dove si imparavano a memoria, o recitandole con mia madre, e poi alle Superiori e all’Università, con consapevolezza maggiore. Solo da una decina d’anni a questa parte però la leggo e studio con regolarità e grande passione, e ho iniziato a scrivere.
Che rapporto hai con la poesia?
Buono direi, fatto di passione, di attenzione e di cura. La poesia non è comunque la mia vita, non coincide con essa. Nessuna esasperazione, partecipazione a tutti i costi, eccetera. Mi piace essere letta da persone comuni, quello sì.
Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?
Per me la parola è uno strumento per arrivare all’Altro, persone e realtà soprattutto, memoria, esperienze significative condivisibili. Conta molto se produce cura dell’Altro, quindi, anche attraverso procedimenti di immedesimazione. L’abuso è nel farla diventare strumento di uso dell’Altro, in più sensi. Un lavoro attento sulla parola produce consapevolezza e attenzione, è fondamentale. In ogni campo credo, non solo in poesia.
Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?
Con lo studio, con la padronanza dei mezzi e della tecnologia, con la passione, con il rimanere ancorati alla realtà, alla concretezza.
Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?
Non ho opere mie pubblicate se non su riviste, se è questo che intendi. Sulle singole poesie è difficile da dire. Ma ci sono molte opere degli altri in cui mi riconosco e che sento mie, dai romanzi di Faulkner a quelli di Onetti alle poesie di Mark Strand o di Seamus Heaney. In quello che ho scritto sino a oggi, avendo una componente autobiografica forte, mi riconosco sicuramente. È la mia esperienza della realtà e degli altri, il modo in cui ne sono stata attraversata.
La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?
Sì, credo che le nuove generazioni avranno la loro poesia, con cui comunicare, in un modo che solo loro, protagonisti del tempo che verrà, sanno. Magari molto diverso dal nostro, dato che si confrontano con uno sviluppo dei mezzi di comunicazione così variegato e complesso.
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