Claudio Orlandi, voce dei Pane, in questa conversazione, ci porta dentro il suo universo: il rapporto con la parola, le influenze poetiche e musicali, l’incontro con il pubblico, il ruolo della poesia oggi – tra umanità e intelligenza artificiale.
Claudio Orlandi è nato nell’agosto del 1973 a Roma, dove si è laureato in Scienze Politiche. Voce e autore dei testi del gruppo musicale Pane, con il quale ha realizzato cinque dischi: Pane (2003), Tutta la dolcezza ai vermi (Lilium, 2008), Orsa Maggiore (2011), Dismissione (Sossella, 2014), The River Knows – A Tribute to the Doors (2018). Del 2009 il disco Corde e martello in duo piano e voce. Dirige sul proprio canale YouTube Radio Pomona, proposta di letture di testi poetici. Nel giugno 2021 pubblica con Tic edizioni Il mare a Pietralata. Poesie e canzoni 1990-2020. Dal gennaio 2025 è parte della redazione del blog letterario "Fissando in volto il gelo".
Info _ Blog personale di Claudio Orlandi
https://orlandiclo739.wixsite.com/claudioorlandi
Canale Youtube gruppo Pane
https://www.youtube.com/@progettopane/videos
Quando ti sei accorto che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?
Forma di comunicazione, ma anche di conoscenza. Ma come prima dimensione, credo la poesia sia un modo per esprimere le proprie emozioni in relazione alle proprie esperienze di vita. In questo senso ho iniziato a scrivere – come molti – le prime poesiole in età adolescenziale, cercando di raccontare, descrivere in modo personale quello che mi colpiva. Aspirazioni, visioni, amori, le possibilità che immaginavo davanti a me. Col tempo, quella che era un’attività spontanea e quasi istintiva è diventata una consuetudine, forse anche un modo di essere. In seguito ho poi iniziato ad usare la voce e scrivere i testi per le canzoni, e da allora le due strade – poesia e canzone, testo e voce – hanno continuato a intrecciarsi, ed eccoci qui.
Che rapporto hai con la poesia?
Come accennato la poesia, per me, è fondamentalmente una delle possibilità espressive dell’uomo, in qualche modo è connaturata a noi stessi. In realtà tutti compongono poesia ogni giorno, che essa sia scritta o resa come atto del vivere quotidiano. Nel mio caso, a parte le letture scolastiche, negli anni giovanili, una figura centrale per la crescita è stata Jim Morrison. Mi viene in mente una sua frase “La suprema arte è la poesia, poiché ciò che ci definisce come esseri umani è il linguaggio”. Come noto, Morrison leggeva tantissimo e scriveva poesie. ‘The Doors’ deriva da ‘The Doors of Perception’ un saggio scritto da Aldous Huxley che prende spunto dal noto verso di Blake: "Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo come realmente è, cioè infinita." Morrison da ragazzo era appassionato della Beat Generation, di Jack Kerouac, ma anche di Arthur Rimbaud; così che anch’io, ho iniziato da giovanissimo a leggere i testi Beat, in particolare Allen Ginsberg di “Juke box all’idrogeno” e il genio di Charleville. La poesia, quasi in modo naturale, è sconfinata, “evoluta”, nel teatro-canzone, nel concerto, nell’esibizione scenica. Sono rimasto nel solco di quelle prime forti ascendenze culturali. Nel tempo – ho superato anch’io il mezzo secolo - la relazione con la poesia si è sviluppata, arricchendosi di continue letture, domande, incontri, questioni che costellano fino ad oggi il pensare quotidiano.
Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?
Sicuramente la parola è il vettore più comune e manifesto per l’espressione poetica, ma esiste anche tanta poesia che non necessariamente utilizza la parola, il segno scritto convenzionale. In ogni caso la parola è anche uno strumento e come tale può essere utilizzato in tanti modi e da soggetti differenti, con finalità diverse. Se leggo “massimo abuso telematico” mi viene in mente il monumentale “1984” di Orwell, e come il regime utilizzi la parola per gestire il dominio totalitario. Ecco, in questi anni, mi sembra che il Potere stia veramente utilizzando con sempre più forza la parola per le proprie finalità. Studiare la parola significa allora, non solo costruire l’immaginario (il mare a Pietralata) ma anche essere in grado di smascherare la propaganda, decostruire i castelli, le narrazioni farlocche e porre versioni alternative, conflittuali e resistenti. Probabilmente è per questo motivo che il Potere ha sempre ricoperto di lode i poeti di corte e cercato di ridurre al silenzio i poeti dissidenti. Il Potere non può nulla contro il poeta discorde, l’eretico, il disertore, se non cacciarlo. Per questo una delle patrie di elezione del poeta è l’Esilio.
Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?
Rivolgo la domanda direttamente all’AI, ecco la sua risposta: “«La parola umana e quella dell’intelligenza artificiale non sono davvero in competizione: nascono da due fonti diverse. La parola dell’uomo porta con sé la memoria del corpo, l’ombra dell’esperienza, la vibrazione delle emozioni. La parola della macchina, invece, è costruzione statistica, una combinazione possibile tra milioni di altre parole. Eppure possono interagire: la parola artificiale può diventare uno specchio, un’eco, un contrappunto che stimola nuove vie. Ma il senso, il gesto creativo, rimane umano, perché senza vita vissuta la lingua resta pura superficie. Forse il compito dell’uomo oggi non è difendere la parola, ma abitarla con più forza, renderla sempre più incarnata. Perché il rischio dell’intelligenza artificiale è produrre un linguaggio fluido, levigato, che non conosce ferite. La poesia, invece, nasce proprio dalle crepe: dal silenzio, dallo strappo, dall’eccesso che nessuna macchina può calcolare.» Mi sembra una bella risposta 😉
Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?
Come detto “Il mare a Pietralata” è una raccolta di poesie e testi dell’arco di trenta anni. È un corpo polimorfo nel quale sono contenute varie fasi. Così per i dischi Pane. Sono stati realizzati a distanza di diversi anni l’uno dall’altro e ciascuno rispecchia il momento. Il prossimo disco sarà una rappresentazione dell’oggi. Mi riconosco nel percorso complessivo. Per quanto riguarda le canzoni, penso che “L’Umore” sia ad oggi uno dei nostri pezzi più riusciti.
La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?
Ovviamente sì. Finché ci sarà umanità avremo poesia.
Eravamo a Trento, nel 2008, fine agosto, un caldo torrido. Ma non era il caldo il problema, quanto il luogo, piazza Dante - parco della stazione. Come tutte le stazioni che si rispettino, il parchetto era frequentato da persone borderline, per lo più stranieri in cerca di svoltare la giornata. Iniziamo nel pomeriggio a montare il palco e l’attrezzatura e subito si avvicinano persone non proprio raccomandabili e sensibilmente alterate dall’alcol e forse anche dalla nostra presenza. Sai quegli eventi che si organizzano per la “riqualificazione” di certi luoghi. Per farla breve dopo qualche momento di tensione e di dubbio sulla riuscita del concerto, si è giunti alla sera e abbiamo iniziato a suonare. Di colpo il parchetto, nella sua veste notturna si è riempito di persone che nel silenzio hanno ascoltato il live. E quelle stesse persone che avevano mostrato qualche diffidenza si sono ritrovate ad applaudire con entusiasmo. La musica aveva portato l’armonia tra tutti. Ci salutammo con grandi abbracci.
Ci sono nuovi progetti?
Come accennato stiamo concludendo la realizzazione del nuovo disco, che contiamo di far uscire entro la fine dell’anno. Stile Pane, brani in italiano, quasi tutti di nostra scrittura ma con un dialogo forte con la poesia italiana contemporanea. Nati in tempi diversi – alcuni anche molti anni fa - ma modellati e ultimati in questi mesi. Tra pause forzate, meditazioni sonore e letture della realtà. Siamo soddisfatti, è un disco che ci rappresenta profondamente.
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