Rimaniamo lì da soli in un angolo della piazza del mercato dove di solito c’è fermento e brulichio continuo di gente che brama sprazzi di vita. Adesso invece soltanto, desolazione, il lastricato che riflette la luce dei lampioni, i banconi chiusi, gli alberi spogli, tristezza. L’incapacità di capire cosa è appena successo.
L’intontimento, l’incredulità, il dolore, l’impotenza. Un attentato terroristico di matrice islamica, dicono gli agenti di polizia appena arrivati. Un attentato terroristico, dicono i giornalisti. Un attentato terroristico, dicono tutti. Lei è morta, dicono i medici. Io ho visto soltanto un folle che si è messo a sparare tra la folla e poi si è disperso con il disperdersi di essa. Ed io sono rimasto lì, con lei tra le mie braccia, mentre mi sorrideva.
Quell’esplosione è rimasta dentro di me, ammutolendo le mie percezioni.
L’incapacità di comprendere quello che è successo. Non saprei come chiamarlo adesso. Attentato. Follia. Ingiustizia. Destino crudele. Un vuoto. Sicuramente un vuoto doloroso e incolmabile. Nessuna lacrima a lenire il dolore. L’incapacità di riconoscere la vita. Da quel momento tutto ha assunto un altro senso. Non ha avuto più nessun senso. Nessuna passione. Nessuna musica. Soltanto uno sparo e poi il nulla.
Ho sentito quello sparo nella mia testa per moltissimo tempo. E andava a finire sempre allo stesso modo. Con il suo sorriso. Guardavo la batteria che mi aveva regalato e la odiavo. Eppure era la cosa che più mi ricordava lei. Nessuna passione. Nessuna musica più. Nessuna salvezza. Continuavo a sentire quello sparo nella mia testa.
Poi un giorno per assordare lo scoppiare del mio cervello mi sono seduto alla batteria e ho percosso con la bacchetta la pelle del tamburo, con tutta la forza che avevo. Un’esplosione! All’esterno. Finalmente un’esplosione all’esterno di me, che apriva i canali del mio cuore, i canali delle mie lacrime. E ho continuato a battere, ho continuato a battere, ho continuato ancora. Per tirare fuori tutto quello che avevo dentro. Ogni battito sulla gran cassa il battito del mio cuore. Tum tum tum prende ritmo, tum tum tum prende vita. Tum tum tum prende rabbia. Un battito dopo l’altro. Il ritmo prende quota. È il ritmo della mia rabbia. E batto, ribatto. Uno squarcio di tempesta a ciel sereno. Follia, maledetta follia degli uomini che si abbatte sempre sugli uomini stessi. E io schianto, percuoto. Una valanga rotolante di massi inarrestabili. Quante vittime ancora, quante vittime innocenti servono a questo dio. E io scasso, fracasso. Un boato sismico che scuote le fondamenta. Quale famelico dio può avere tutta questa sete di sangue e continuare a uccidere. E io scasso, sconquasso. Un’onda d’urto per l’abbattimento del muro del suono. Quale famelico dio se non il dio denaro, di chi ha interessi economici, di chi ha interesse che tutto rimanga così. E io frango, rifrango. Girano le armi, girano i soldi, girano le vite. E io sfascio, distruggo. A chi fa comodo, a chi fa comodo tutto questo… Le mie domande non hanno risposte. Solo disperazione. Le mie domande non hanno risposte ma lentamente il mio spirito si rasserena, il ritmo si fa simile a quello del cuore, come una pioggia notturna in primavera. E il cuore che sento è il cuore di lei. Era il suono che le piaceva di più. Quello della pioggia notturna in primavera. Così rara, così intima. Io beccheggio sul rullante, sui piatti, come se le bacchette fossero i miei polpastrelli e potessi praticare un massaggio cardiaco nel petto di lei. Perché il suo cuore batta ancora insieme alla mia batteria. Perché il suo cuore viva. Perché il suo sorriso sia un sorriso di una persona in vita. Sì, così la sento. Viva. Non è possibile tutto questo, no. So che non è possibile, lo so, ma ogni volta che mi siedo alla batteria e percuoto la bacchetta sulla pelle del tamburo sento quello sparo e rivedo il suo sorriso.
Alcuni pareri dei lettori:
Dire che questa storia è toccante è poco.... ti entra nel cuore e nell’anima.... Grande Gabriele.
Luca Paoli
Caro Gabriele come sempre riesci in un racconto a emozionare chi lo legge. E il legame tra "uno sparo e un sorriso" è molto sottile e quel che mi rimane è il "sorriso" di una persona che rimarrà per sempre.
Bravo sopratutto per non dimenticare ciò che è accaduto.
Enrico Belbusti
Bellissima Gabriele!
Dario Lastella
Con abbondante ritardo ci tenevo a dire la mia:...bello, gran ritmo e ricco di pathos...mi ha emozionato...😢❤️🙏🎼
Francesco Mascio
Vivo e avvolgente, grazie
Roberto Menabò
Certe storie vanno "ascoltate" più che lette...onorata di aver incrociato il tuo cammino 💗
Valeria La Rocca
Un racconto molto bello Gabriele😊
Maurizio Fierro
Trasuda di vita il tuo racconto, drammatico ma con una rara potenza evocativa che riporta al ricordo, ricordo che vive e, con esso, vivono la vittime innocenti della guerra, di tutte le guerre. Bello davvero Gabriele.
Maurizio Celloni
Qualcuno doveva pur raccontare per non dimenticare. Tu hai saputo... 🌟
Isabella Dilavello
Bella storia.
Pupi Bracali
Un bel racconto, che purtroppo ricorda fatti recenti, che hai saputo raccontare con sensibilità.
Gabriele Dodero
il dolore di ognuno tra la folla. Il dolore che si porta dentro. È Il vuoto di ciascuno a dare la misura della sofferenza.
Lucia Gargano
L'ho letto fino in fondo tutto d'un fiato, straziante ma immenso è sempre un piacere leggerti 👍❤️
Rosario Buonfiglio
In “Uno sparo e un sorriso” di Gabriele Peritore
l’incredulità, il dolore, l’impotenza, un labirinto di schegge che riflette nella lucida memoria del protagonista e giunge a me lettore come ad interrogarsi su quale via da scorgere oltre il buio, se per il potere di una cieca violenza i nostri occhi non torneranno alle carezze della luce di un sorriso
Cony Ray
Hai una narrazione tumultuosa e travolgente, si percepisce il battito del romantico e il senso del ritmo del musicista.
Stefania Giammillaro
Nessun commento:
Posta un commento