giovedì 30 maggio 2024

Emozioni da Pescara

Dalla terra di Pirandello alla terra di D'Annunzio.  Emozionatissimo per questo premio.

Ancora grazie alla giuria intera del Premio Sinestetica, Luigi Colagreco, Loretto Rafanelli, Concetta Meri Leone.

E sopratutto a Rough Max creatore della musica e Luigi F. che mi ha arricchito con la sua visione della metropoli. 

Grazie anche al poeta irlandese Premio Pulitzer  Paul Muldoon che mi ha concesso uno scatto.


La motivazione del primo premio alla videopoesia Benvenuti nel primo mondo: Una città del “primo mondo” è osservata dagli occhi di un bambino. Il suo sguardo passa sullo schermo di un cellulare, con il formato di una storia social; alcune scene, alcune immagini, di un possibile percorso a piedi, offrono la base per una narrazione di impressioni. Lo sguardo scorre insieme alle contraddizioni del nostro stile di vita. L’autore ce le ricorda nei paradossi del suo testo di denuncia, in un dialogo stretto con il riff di sax della colonna sonora.


Foto: Alessandro Battista











Foto: Alessandro Battista 







sabato 18 maggio 2024

Una Lady Madonna per i Baustelle

Per la rubrica: PHARMASONG, la vita moderna e la paroxetina, un eterno conflitto tra forza e debolezza, tra Lady Madonna dei Beatles e Charlie dei Baustelle.


                                        

Un giorno, nella farmacia della periferia romana in cui lavoro, ho conosciuto Lady Madonna, bellissima e trafelata. Sì, proprio come la donna protagonista del brano dei Beatles, la donna di tutti i giorni, la donna della vita reale, complessa e stressante. Per niente santa, per niente signora, ancora più Madonna, ancora più bella, proprio perché vera. Mi sono sentito come Paul McCartney nel rendermi conto di quanto possa essere divino l’atto di nutrire al seno la propria creatura ma anche ricco di preoccupazioni, traumi, angosce, soprattutto se si considera una famiglia numerosa in questi tempi moderni. Perché quando sei un genitore, sei una mamma, la tua felicità è la felicità dei tuoi figli, anche se loro ti travolgono, con le loro esigenze e i loro bisogni, tanto da dimenticare te stessa, coinvolta in questo equilibrio precario che non sai nemmeno in che direzione va. Ogni giorno è da reinventare. Il lunedì la figlia più grande deve fare i compiti e il martedì la piccola deve ancora imparare ad allacciarsi le scarpe. Il mercoledì pensi a come nutrirle mentre le guardi correre arruffate e azzuffarsi tra di loro. Il giovedì sono finiti i soldi. Il venerdì non sai come fare per non impazzire, per non scoppiare. La domenica sai che tutto deve ricominciare. Così ogni santo giorno di ogni santa settimana, come se non esistesse il sabato. Come fai a sbarcare il lunario, donna? Come fai a non soccombere anche quando l’ansia sembra prendere il sopravvento? Lo so che è difficile, donna, ma fai uno sforzo, segui la musica che hai in testa, cantavano i Beatles. E lei si, le la seguiva la musica, il suo ritmo naturale, tutti i giorni, con grande forza interiore, ma un giorno qualcosa si è rotto dentro, tutta la forza mostrò il suo rovescio di fragilità. Tutto crolla. Tutte le certezze su cui si è costruita l'esistenza vengono a mancare. Tutto va in frantumi, il passato, il presente e il futuro si sgretolano in una frazione di secondo. Manca il respiro, si schiaccia il petto, sembra di morire. Attacchi di panico, li chiamano. Depressione, la chiamano. Fu così che la conobbi. Il terapeuta le aveva prescritto una bella dose di paroxetina. Un antidepressivo, Sereupin, il nome commerciale. Ci fu un'intesa rapida tra noi, immediata. Lei cercava qualcuno di cui fidarsi e con cui confidarsi, io qualcuno che sapesse ascoltare. Si instaurò un rapporto vero, sincero. Le chiacchierate frequenti ci consentirono di conoscerci bene. Nonostante tutto riusciva a conservare un spiccata ironia con cui approcciava alle sventure della vita. Le consentiva di scherzare sulla sua situazione. Insieme scegliemmo un nome nuovo per lei: Sere, un diminutivo, non da Serena, ma da Sereupin, appunto. Ben presto questa confidenza fece sì che le posizioni si invertissero. Guardando la periferia con i suoi occhi imparai ad apprezzarla in maniera più profonda. Avrei dovuto essere io a sostenerla, in quanto suo dottore di fiducia, invece era lei a sostenere me. Non l'ho mai ringraziata abbastanza per tutte le cose che mi ha trasmesso con la sua forza. Per merito di questa forza interiore, naturale, tirata fuori chissà da dove, fu in grado di uscire dalla fase acuta della depressione e a sospendere i medicinali. L'ho sempre ammirata per questa forza. Per me è lei l'unica, vera, ancora più speciale, Lady Madonna. 

Forza che, molto probabilmente, invece, non possiede Charlie, il protagonista del brano dei Baustelle, perché siamo esseri umani e in questa realtà con le sue tante abitudini degradate, il consumo di paroxetina è paragonabile a quello delle caramelle. Per non soccombere, per reggere il peso dello stress, dell’inadeguatezza in confronto alle aspettative. Quella dei Baustelle è una provocazione e nello stesso tempo una denuncia sulle problematiche della società moderna che con il suo tenore pressante inchioda e crea omologazione. Sviscera la debolezza in tutte le sue manifestazioni fin dall'adolescenza.

La paroxetina è uno psicofarmaco, antidepressivo, che funziona inibendo il rilascio, in alcuni recettori precisi del sistema nervoso centrale, della serotonina, sostanza responsabile del tono dell'umore. 

Migliorare l'umore chimicamente comporta, però, non pochi effetti collaterali abbastanza complessi. Come tutti gli psicofarmaci porta ad assuefazione e dipendenza. Non è assolutamente consigliato l'utilizzo senza controllo medico. 

Proprio come non fa il giovane baldanzoso Charlie a cui servirebbe la forza della mia Ledy Madonna, o un farmacista che magari sappia indirizzarlo verso rimedi alternativi naturali, come la rodiola o altri ancora che in questo momento storico si trovano facilmente in farmacia.


Baustelle 

Charlie fa Surf (brano contenuto nell'album Amen, 2008)


Vorrei morire a questa età

Vorrei star fermo mentre il mondo va

Ho quindici anni

Programmo la mia drum machine

E suono la chitarra elettrica

Vi spacco il culo

È questione d'equilibrio

Non è mica facile

Charlie fa surf, quanta roba si fa

MDMA

Ma ha le mani inchiodate

Se Charlie fa skate, non abbiate pietà

Crocifiggetelo, sfiguratelo in volto

Con la mazza da golf

Alleluja alleluja

Mi piace il metal R'n'B

Ho scaricato tonnellate di

Filmati porno

E vado in chiesa e faccio sport

Prendo pastiglie che contengono Paroxetina

Io non voglio crescere

Andate a farvi fottere

Charlie fa surf, quanta roba si fa

MDMA

Ma ha le mani inchiodate da

Un mondo di grandi e di preti, fa skate

Non abbiate pietà

Una mazza da baseball

Quanto bene gli fa

Alleluja alleluja


                             


                            




sabato 11 maggio 2024

La Poesia, tra Emergenza e Insorgenza

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con il fraterno amico Cony Ray, alleato di tante battaglie artistiche, sostenitore di una poesia che fa emergere e sa insorgere.

Foto: Dino Ignani


Cony Ray (poeta, performer e regista) È tra i poeti “underground” protagonisti del docufilm POETI  (Italia, 2009) del regista Toni D’Angeloselezionato e proiettato in concorso per la sezione "Controcampo Italiano” alla  66° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – Biennale di Venezia. Nel  2008  ha pubblicato INTERNO 4 (un film da leggere e vedere tra i versi),  Nel  2016, traendo spunto dalla lirica Epilogo di sua composizione, pubblicata in INTERNO 4, cura il soggetto, la sceneggiatura, la regia e la produzione di uno short film dal titolo EPILOGO (Italia, 2016), durata 7’20”, genere drammatico, opera prima cinematografica.  Nel  2020,  allo short film EPILOGO è stato assegnato il 3° Premio alla 3° Edizione del Concorso Nazionale SINESTETICA. Nel 2022, il  Premio Internazionale 100 Anni di Jack Kerouac - Morano Calabro Città d’Arte VIII Edizione, con il Patrocinio morale della LCK – Lowell Celebrates Kerouac (Massachusetts,USA), Lowell cittadina natale di Jack Kerouac,  ha assegnato a Cony Ray per la Sezione A – Poesia Inedita,  il  Primo premio per la poesia dal titolo “Nell’invisibile”, versi che il poeta ha composto e dedicato al mentore, all’amico fraterno e poeta Biagio Propato.

Quando ti sei accorto che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?

Dapprima, leggendo poesia di autori importanti: dai classici latini e greci, passando per i poeti maledetti francesi, fino ai poeti della Beat Generation. Non da ultimo, i testi di alcuni songwriters di oltreoceano che avevano valenza poetica. In particolare, le liriche di Lou Reed per il suo modo di proporre un’estetica urbana nuda e cruda. Per il suo primo approccio alla poesia quando da giovane frequentava la Syracuse University, grazie al suo incredibile insegnante di scrittura creativa - nonostante era vecchio su una pessima china, consumato dall’alcool e dalla droga, malato di mente - il poeta e scrittore Delmore Schwartz, un prodigio che poco più che ventenne aveva trovato il successo e un trionfo di critica con la raccolta In Dreams Begin Responsabilities, e che non è mai riuscito a ripetersi. Nel mio percorso, nelle mie composizioni in “verso libero”, nel far emergere qualcosa che già esiste e mettere al centro, nel mio modo di intendere e fare poesia, l’attenzione verso tematiche attuali, o ancora attuali nel nostro tempo, come ad esempio il disagio sociale, l’inadeguatezza costante nel vivere, la dignità quale diritto sacrosanto di ogni essere umano, e far sì di essere capito e letto dal maggior numero di persone possibili, ai più vari livelli di cultura, nei più diversi stati d’animo, dalle prossime generazioni. Credo che la forma sia perfetta quando la poesia dà la possibilità di creare un ponte più solido e comodo tra me, poeta, e il lettore. Sono per la chiarezza senza ombre, che non nasconde nulla del bene e del male. Mettere, quindi, il mio modo di intendere e fare poesia al servizio di qualcosa di utile che conduca il lettore ad una maggiore consapevolezza dell’importanza di trattare determinate tematiche e della loro drammaticità, condurlo quindi alla riflessione con l’intento di fare dell’umanità qualcosa di buono ancora.

Che rapporto hai con la poesia?

Abitando in una via intitolata a Pier Paolo Pasolini, direi quotidiano. Pensando a ciò che mi ispira, solo quando sento l’esigenza e l’urgenza di trattare qualcosa che valga la pena comunicare in versi. 

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

È nel lavorare con la parola, nel comporre versi che si può dare ancora importanza alla parola stessa ed elevarla dal suo massimo abuso telematico nel pubblicare versi in un social network.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

L’intelligenza artificiale è frutto dell’ingegno umano. Sta all’uomo utilizzare questo mezzo, come in passato per altre innovazioni tecnologiche, nel farne buon uso.  Personalmente, mi auguro che la parola umana non debba competere o interagire con un’intelligenza artificiale. Quindi restare umana tra gli umani. 

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?

Nel 2008, ho pubblicato INTERNO 4 (Un film da leggere e vedere tra i versi), la mia opera prima letteraria, e l’unica pubblicata per scelta, con prefazione a cura del poeta e mentore Biagio Propato recentemente scomparso, e postfazione grazie ad una tua e-mail che mi inviasti a commento dell’opera.  È un’ opera di cui sono editore indipendente, ed ho ideato e realizzato la grafica e la copertina del libro, per la quale ho curato la promozione e la distribuzione in prima persona. INTERNO 4 è il tentativo di fare di un poema in chiave moderna una sorta di film ad episodi: ossia un film da leggere e vedere tra i versi. I titoli delle liriche sono diventati, a pieno titolo, i titoli dei vari episodi che compongono l’opera, il film da leggere. La grafica all’interno del libro in qualche modo catapulta il lettore in una sala di un cinema, in una sala buia davanti ad uno schermo. Il lettore per magia diventa uno spettatore. L’opera è stata pensata, immaginata ed ideata come “un film da leggere e vedere trai versi” anche perché spesso il cinema ha attinto dalla letteratura, in particolare dalla narrativa, e quindi ho tentato di fare un’operazione al contrario ma in versi. Del resto un poeta nel comporre versi non fa altro che creare immagini. Le parole quindi sono fotogrammi. In INTERNO 4 ho dato voce – ispirandomi a persone realmente conosciute – a quanti vivono un disagio sociale e una costante inadeguatezza nel vivere. Tra i personaggi, protagonista principale un poeta. Una sorta di “Spoon River” ma di viventi, dove ogni personaggio è una maschera di diversi tipi di disagio sociale e inadeguatezze costanti nel vivere. Nell'azione temporale di una notte, un poeta, confuso e coinvolto da visioni interiori ed esterne,  vaga in una metropoli non meglio identificata. A distanza più o meno ravvicinata i monologhi interiori del poeta e di alcuni personaggi - un criminale recluso, un transex, una prostituta, un amante virtuale in chat line, una ragazza anoressica, un suicida e la memoria di alcuni homeless - costellano la realtà metropolitana sotto il cielo di una notte imperfetta. E tutto nella contemporaneità, e luminosità di un film.

La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?

Sta ai poeti saper comunicare alle nuove generazioni senza fare solipsimi, seguire canoni e basta. Affrontare, quindi, per mezzo della scrittura la realtà che ci circonda fino a farne discutere e creare qualche situazione che muova le cose. Quindi poesia come arte che insorge. Ma la responsabilità è anche delle case editrici che non promuovono abbastanza o addirittura per niente opere di poesia. Come dei programmi didattici in materia di letteratura. Occorre incentivare nelle scuole, di ogni ordine e grado, sempre più l’incontro tra poesia e le nuove generazioni. I rapper sono i poeti che nel nostro tempo meglio hanno saputo arrivare e sanno arrivare alle nuove generazioni.




mercoledì 1 maggio 2024

Paul Auster: “Il libro delle illusioni” (2002)

Il mio omaggio al grande Maestro 



A volte soltanto il dolore può risvegliarci dall’illusione di questa vita, dai disegni del caso e del destino, da questo intreccio di relazioni che chiamiamo sentimenti, conoscenze, affetti. Da questo affannoso inseguimento delle ambizioni e dei desideri. Tutto quello che ci appare reale potrebbe essere un’illusione, l’esistenza stessa un’illusione; a far saltare tutte le certezze, e tutti i dubbi, è il dolore che arriva improvviso e devasta la vita. David Zimmer, il protagonista del romanzo “Il libro delle illusioni” (“The book of illusions”)- pubblicato da Paul Auster nel 2002-, ne ha dolore da metabolizzare, talmente tanto che è impossibile da smaltire. Ha perso moglie e figli in un incidente aereo e quello che rimane della sua vita non assomiglia per niente alla parvenza di una vita. Anche la morte è un’illusione? A giudicare dal dolore di chi rimane in vita, no. Un male che annienta ogni senso che struttura l’esistenza. I pensieri, la carriera universitaria tanto accuratamente costruita, la luce del giorno, l’insonnia della notte, tutto fa male. Una sofferenza tale che si vorrebbe morire ma se non ci si suicida non si muore… e per lenirla, questa sofferenza, ci si attacca a tutto, pur di anestetizzare le terminazioni nervose che conducono le sensazioni e le emozioni. In certi casi l’alcool aiuta molto, quando rimangono soltanto lacrime e vuoto… e quando poi finiscono anche le lacrime e rimane soltanto il vuoto… e il muto pianto. Poi quando sembra che niente possa invertire il corso delle cose, una risata improvvisa arriva a rovesciare le lacrime interiori come un goffo fulmine risalente dalle viscere. Soltanto un film muto, visto su una tv perennemente accesa, può insinuarsi nel silenzio assordante della sofferenza e sconvolgerne i meccanismi. Così un attore comico degli anni venti, con i suoi baffetti divertenti provoca quella involontaria risata viscerale che gli comunica che in lui c’è ancora vita. Quell’attore è Hector Mann divo degli anni venti e scomparso al culmine della sua celebrità. David Zimmer si attacca a questo unico appiglio e lo segue per ripercorrere il bandolo della sua esistenza. Dalla distruzione intravede la possibilità di ricostruzione. Studia tutte le pellicole in cui Hector Mann è autore e protagonista. Ci scrive su un saggio biografico… e conosce nuovamente il sapore del successo. Il suo successo è, in qualche modo, il successo di Hector Mann, di cui l’eco arriva lontano, molto lontano. Tant’è che riceve una lettera dal New Mexico, firmata dalla moglie di Hector Mann, che gli rivela che l’attore è ancora vivo e vuole conoscere il suo biografo. David Zimmer non ha nessuna intenzione di accettare l’invito, inizialmente. Soltanto dopo minaccia armata da parte di Alma, una donna che conosce tutta la vita di Hector Mann, è costretto ad accettare. Gli comunica che il divo è in fin di vita e che non rimane molto tempo. Da questo momento comincia il viaggio. Comincia un’altra storia in cui non è più David Zimmer il protagonista ma tutto il resto della vita sconosciuta di Hector Mann. A questo punto il romanzo, grazie alla maestria dell’autore, si apre come in una serie di storie concentriche a rimodellare i contorni dell’illusione. Ci svela i misteri che stanno dietro la scomparsa di Hector Mann, i motivi del suo isolamento. Ricostruisce i cinquanta anni mancanti della sua vita. Ci addentriamo nella conoscenza intima del personaggio, delle sue avventure e disavventure esistenziali, nelle sue esperienze sessuali, e soprattutto abbiamo l’onore di assistere alla proiezione delle pellicole segrete, quelle girate soltanto per se stesso e per pochi intimi che poi sono destinate ad essere distrutte. David Zimmer è testimone volontario, inglobato in questa nuova illusione che lo fa allo stesso tempo creatore e creatura della vita di un uomo che ha costruito la sua esistenza privata come se fosse un’opera d’arte. Un testimone in grado forse di stabilire dove l’arte può fare del bene o danneggiare e finalmente di riconoscere il fiorire di un sentimento, che non gli può restituire la felicità iniziale ma una gradita sensazione di tornare a respirare. Paul Auster ordisce una trama estremamente complessa con un linguaggio semplice. Questo romanzo anzi, è proprio una riflessione sul linguaggio, che con i suoi simboli e le sue codificazioni si stratifica alle reali esigenze esistenziali e le complica. Serve scrivere per ritrovare il nucleo vero dell’essenza. Il protagonista infatti è un docente universitario che per ricostruire la propria esistenza ricomincia dalla scrittura… e scrive la vita di un autore. Un autore che interpreta tutta la propria vita come una sceneggiatura, come un’opera d’arte. Il linguaggio per Paul Auster può sondare gli imperscrutabili disegni del caso e del destino, può provare a razionalizzarli senza riuscire a spiegarli naturalmente. Può provare a ristabilire le priorità primitive, naturali, soltanto con la semplicità del gesto. Perché chi scrive, come chi racconta delle favole, deve soltanto accendere la scintilla della fantasia, accennare delle linee guida e poi lasciare all’ascoltatore o al lettore il compito di riempire gli spazi con la propria immaginazione. “Il libro delle illusioni” è un romanzo ricco, corposo, che comunque lascia al lettore il dovere o il piacere di comprendere dove sia importante creare illusioni o dove invece possa scontrarsi con la vita.