A volte soltanto il dolore può risvegliarci dall’illusione di questa vita, dai disegni del caso e del destino, da questo intreccio di relazioni che chiamiamo sentimenti, conoscenze, affetti. Da questo affannoso inseguimento delle ambizioni e dei desideri. Tutto quello che ci appare reale potrebbe essere un’illusione, l’esistenza stessa un’illusione; a far saltare tutte le certezze, e tutti i dubbi, è il dolore che arriva improvviso e devasta la vita. David Zimmer, il protagonista del romanzo “Il libro delle illusioni” (“The book of illusions”)- pubblicato da Paul Auster nel 2002-, ne ha dolore da metabolizzare, talmente tanto che è impossibile da smaltire. Ha perso moglie e figli in un incidente aereo e quello che rimane della sua vita non assomiglia per niente alla parvenza di una vita. Anche la morte è un’illusione? A giudicare dal dolore di chi rimane in vita, no. Un male che annienta ogni senso che struttura l’esistenza. I pensieri, la carriera universitaria tanto accuratamente costruita, la luce del giorno, l’insonnia della notte, tutto fa male. Una sofferenza tale che si vorrebbe morire ma se non ci si suicida non si muore… e per lenirla, questa sofferenza, ci si attacca a tutto, pur di anestetizzare le terminazioni nervose che conducono le sensazioni e le emozioni. In certi casi l’alcool aiuta molto, quando rimangono soltanto lacrime e vuoto… e quando poi finiscono anche le lacrime e rimane soltanto il vuoto… e il muto pianto. Poi quando sembra che niente possa invertire il corso delle cose, una risata improvvisa arriva a rovesciare le lacrime interiori come un goffo fulmine risalente dalle viscere. Soltanto un film muto, visto su una tv perennemente accesa, può insinuarsi nel silenzio assordante della sofferenza e sconvolgerne i meccanismi. Così un attore comico degli anni venti, con i suoi baffetti divertenti provoca quella involontaria risata viscerale che gli comunica che in lui c’è ancora vita. Quell’attore è Hector Mann divo degli anni venti e scomparso al culmine della sua celebrità. David Zimmer si attacca a questo unico appiglio e lo segue per ripercorrere il bandolo della sua esistenza. Dalla distruzione intravede la possibilità di ricostruzione. Studia tutte le pellicole in cui Hector Mann è autore e protagonista. Ci scrive su un saggio biografico… e conosce nuovamente il sapore del successo. Il suo successo è, in qualche modo, il successo di Hector Mann, di cui l’eco arriva lontano, molto lontano. Tant’è che riceve una lettera dal New Mexico, firmata dalla moglie di Hector Mann, che gli rivela che l’attore è ancora vivo e vuole conoscere il suo biografo. David Zimmer non ha nessuna intenzione di accettare l’invito, inizialmente. Soltanto dopo minaccia armata da parte di Alma, una donna che conosce tutta la vita di Hector Mann, è costretto ad accettare. Gli comunica che il divo è in fin di vita e che non rimane molto tempo. Da questo momento comincia il viaggio. Comincia un’altra storia in cui non è più David Zimmer il protagonista ma tutto il resto della vita sconosciuta di Hector Mann. A questo punto il romanzo, grazie alla maestria dell’autore, si apre come in una serie di storie concentriche a rimodellare i contorni dell’illusione. Ci svela i misteri che stanno dietro la scomparsa di Hector Mann, i motivi del suo isolamento. Ricostruisce i cinquanta anni mancanti della sua vita. Ci addentriamo nella conoscenza intima del personaggio, delle sue avventure e disavventure esistenziali, nelle sue esperienze sessuali, e soprattutto abbiamo l’onore di assistere alla proiezione delle pellicole segrete, quelle girate soltanto per se stesso e per pochi intimi che poi sono destinate ad essere distrutte. David Zimmer è testimone volontario, inglobato in questa nuova illusione che lo fa allo stesso tempo creatore e creatura della vita di un uomo che ha costruito la sua esistenza privata come se fosse un’opera d’arte. Un testimone in grado forse di stabilire dove l’arte può fare del bene o danneggiare e finalmente di riconoscere il fiorire di un sentimento, che non gli può restituire la felicità iniziale ma una gradita sensazione di tornare a respirare. Paul Auster ordisce una trama estremamente complessa con un linguaggio semplice. Questo romanzo anzi, è proprio una riflessione sul linguaggio, che con i suoi simboli e le sue codificazioni si stratifica alle reali esigenze esistenziali e le complica. Serve scrivere per ritrovare il nucleo vero dell’essenza. Il protagonista infatti è un docente universitario che per ricostruire la propria esistenza ricomincia dalla scrittura… e scrive la vita di un autore. Un autore che interpreta tutta la propria vita come una sceneggiatura, come un’opera d’arte. Il linguaggio per Paul Auster può sondare gli imperscrutabili disegni del caso e del destino, può provare a razionalizzarli senza riuscire a spiegarli naturalmente. Può provare a ristabilire le priorità primitive, naturali, soltanto con la semplicità del gesto. Perché chi scrive, come chi racconta delle favole, deve soltanto accendere la scintilla della fantasia, accennare delle linee guida e poi lasciare all’ascoltatore o al lettore il compito di riempire gli spazi con la propria immaginazione. “Il libro delle illusioni” è un romanzo ricco, corposo, che comunque lascia al lettore il dovere o il piacere di comprendere dove sia importante creare illusioni o dove invece possa scontrarsi con la vita.
Nessun commento:
Posta un commento