domenica 30 giugno 2024

1994. "DUMMY". Portishead

 


Poi venne il desiderio di pace. Giacere amando. Intrecciare i piaceri. La voglia di assecondare il bolero sensuale delle note, emesse dalle casse dello stereo che riproduceva “Dummy” dei Portishead. 

La voglia di sentire nella musica lo stesso movimento delle onde del mare, del loro respiro sostituirsi al nostro respiro, anche se il fresco del liquido salato sulla pelle non ci aiutava a sfuggire alla bollente estate di San Leone.

Dal pelo d’acqua non arrivava altro che un baluginio accecante, il sole cuoceva la sabbia, l’asfalto, i mattoni e non avevamo dove trovare rifugio dalla calura. 

Il fuoco era fuori, il fuoco era dentro. 

Bramavamo la notte, la notte inoltrata di quando finalmente l’umidità evapora dai bronchi e le tenebre sono più fitte. 

Tu mi dicevi che avevi paura. Che sono tempi aspri. Che sarebbe stato tempo di vedere oltre la finzione. Oltre le maschere indossate, negli sbagli che ognuno di noi nasconde nei propri rimorsi, nei propri incubi, nei propri tormenti. 

Avresti compreso anche i miei desideri peccaminosi, i nostri pensieri incendiari, impossibili da contenere, in quel momento in cui la nostra pelle non abbronzata, percorsa dai brividi, parlava la lingua del piacere. 

Un incendio dei sensi che ci illudeva di essere superiori a qualsiasi falsità. Cercavamo consolazione e non la trovavamo che fisica, che momentanea. Tutto avrebbe potuto essere così dolce. 

Respira, io ti dicevo. Respira. La paura rimaneva lì. Il piacere e la paura. 

Tu mi continuavi a dire che avevi paura. Paura del presente. Paura del futuro. Non avevi voglia di ricordare i sogni, perché avevi timore di perdere quello che con fatica avevi ottenuto. Avevi paura di perdere la voglia di provarci. 

Era questa la dolcezza che cercavi, ma in questa vita bisogna restituire sempre tutto. Anche se provarci, comunque, avrebbe potuto essere così dolce. 

Questa solitudine che non ti lasciava. Eravamo lì insieme e questa sensazione di solitudine non ti lasciava. 

È tutto un grande inganno. L’amore è il più grande inganno. Tutta questa pace era soltanto una guerra. Un guerra che si combatteva nel nostro inconscio. Il senso del nostro essere lì insieme svaniva in un senso più grande di solitudine che intorpidiva il cervello. La volontà. 

Avevi paura. Avevi paura e ti sentivi sola. La strada, dicevi. Non 

abbiamo trovato la nostra strada. Ogni passo sembra affondare nelle sabbie mobili dell’oscurità. 

Non avevo voglia di chiedermi cosa mi avesse portato fin qui e non avevo voglia di pensare che fosse tutta una menzogna. Questa vita, una menzogna. Eppure così vera. Il tuo tremore, il tuo sudore, il tuo deliquio. Gli occhi inumiditi dal piacere. Avresti voluto urlare ma non ce la facevi, avresti voluto urlare ma ti stavi frantumando dentro. Ci stavamo crepando interiormente, schiavi delle sensazioni. Più rumorosi, comunque, di un ventilatore arrugginito che a malapena smuoveva le tende della camera da letto.

Mi dicevi di avere paura, di sentirti sola, e non volevi che andassi via, lontano da te, anche soltanto per mangiare una granita quasi già sciolta. Facevi di tutto per trattenermi a te. M'intrattenevi con la freschezza delle tue labbra, m'imprigionavi, e io mi lasciavo imprigionare. La paura più grande, quella di svegliarsi da questo sogno. 

Anche se dovesse essere notte per sempre, avremmo vagato nel buio freddo come stelle erranti in eterno. Avremmo vagato come stelle erranti per sempre. Nel cielo notturno. Mentre i primi fili di luce penetravano dalla finestra e l’alba avrebbe inghiottito le tenebre, nuovamente. 

E sarebbe tornato il giorno, e sarebbe tornato il caldo, e sarebbe tornata la voglia di pace. Beatamente illudendoci, cullati dalle onde della musica e del mare, che il futuro fosse lì tutto a nostra disposizione. Tutto a mia disposizione. 


I Portishead nel 1994:

Beth Gibbons – voce, chitarra, tastiera.

Geoff Barrow – giradischi, batteria, campionatore.

Adrian Utley – chitarra.

Dave MacDonald - produzione.






sabato 22 giugno 2024

Da Murolo a Mina, una dose di penicillina

Per la rubrica: PHARMASONG, la visione della penicillina nelle canzoni di Murolo e Mina. 



Sia Roberto Murolo, con un brano che si chiama proprio Penicillina del 1948, che Mina, in Carne viva del 2009, citano questo farmaco come rimedio che può curare tutti i mali, mettendolo in parallelo con l'amore. O come metafora di questo sentimento. E forse non hanno tutti i torti.  Soltanto l'amore può curare tutti i mali. L'amore vero. Quello che apre i canali del cuore e ridona effervescenza nuova al sangue. Anche se, nel corso del tempo, poi, questa parola, questo sentimento, viene spesso interpretato in maniera del tutto diversa in base alla propria esperienza di vita e approccio psicologico. Ci sono state occasioni in cui alcune forme d’amore non si sono rivelate sane. L'augurio è sempre quello, che si possa aprire il cuore. Far fluire il bene. Darsi, sempre, senza ricevere nulla in cambio, spesso. Senza neanche aspettarselo. Perché l'amore è l'amore anche quando fa soffrire. Sofferenza e cura nello stesso tempo. 

È bella questa visione romantica della penicillina, che, purtroppo, non è nient'altro, invece, che un antibiotico. Un prototipo naturale di antibiotico che riusciva a inattivare soltanto alcuni tipi di batteri. Nel frattempo, però, i batteri che sono molto intelligenti e attaccati alla vita, hanno sviluppato farmacoresitenza e della penicillina sentono soltanto il solletico. 

Alcune fonti dicono che la penicillina sia stata scoperta per sbaglio, dal dottor Flaming, osservando il comportamento di una muffa, contenente il fungo Penicillium (da cui il nome della penicillina), che impediva lo sviluppo di alcuni batteri. 

Quante cose si scoprono per sbaglio. 

Da poeta, mi verrebbe voglia di fare un elogio allo sbaglio e salpare verso l'ignoto come un esperto Cristoforo Colombo alla volta delle Indie. Sentire il formicolio ritmico della voglia di sperimentare che tambureggia sul cuore come pioggia incessante e rasserenante,  anche se dovesse portare a sbagliare. Errare, anche nel senso di vagare. Perché dopo,  se dovesse portare a qualche importante scoperta, con quel retrogusto di fallimento, sarebbe ancora più bella. 

Da farmacista, mi verrebbe da mettere in guardia sui pericoli della farmacoresitenza che prima o poi porterà alla totale inefficacia degli antibiotici comuni, trovandoci nella necessità di inventare altri sistemi per contrastare l'avanzata dei batteri. Come, per esempio, utilizzare gli stessi batteri, contenuti nei fermenti lattici. I cosiddetti probiotici. E perdersi nella bellezza di un gioco di parole, sostituendo il termine antibiotico (cioè anti vita, dei batteri) con il termine probiotico (cioè pro vita, sempre dei batteri).

Da inguaribile romantico, continuo a credere in una forma d'amore positivo che possa far bene al cuore, come Murolo e Mina, e che in una canzone si possa pure chiamare penicillina. 



Mina 

Carne Viva


Mi sto chiedendo come farti contento

e cosa per te rappresento

ma almeno dimmi che sono l'amante del momento

e se lo raccontassi

ti cascherebbe il mondo

per quella notte indecente

tu non avvicinarmi non far finta di morirmi

io sono carne viva

sono carne viva

sono la tua vitamina la tua penicillina

il tuo pentimento il tuo cedimento

la tua compassione la disperazione

senza mai un'attenzione

io sono carne viva

sono carne viva

le mie gambe fra le tue gambe

la pressione che mi scende

sono la tua missione la tua religione

non so cosa farne ma sono carne della tua carne

odio il perdono, l'amore,e all'improvviso

non voglio essere l'ultima tua chance

ma tu incatenami trattienimi all'istante

e se lo raccontassi

ti cascherebbe il mondo

per quella notte indecente

tu non avvicinarmi non far finta di morirmi

io sono carne viva

sono carne viva

sono la tua vitamina la tua penicillina

il tuo pentimento il tuo cedimento











sabato 15 giugno 2024

Dispersi

Per la rubrica: Viva la musica dal Vivo, ringrazio infinitamente, Rough Max Pieri, PG Petricca e Giannasso, per aver scelto il mio blog per fare un resoconto sull'ultimo tour nel nord dell'Europa in promozione del disco "Dispersi".



Siete appena tornati da un tour estero. E sarebbe bello conoscere le vostre esperienze vissute in questo giro di concerti.


Devo dirti che suonare fuori dai confini nazionali sta diventando una bella abitudine. Siamo ormai al quarto o quinto tour che facciamo e l’aspetto più sorprendente di tutti rimane senza dubbio il gradimento che la musica sta ottenendo grazie all’uso della lingua italiana. È un paradosso che la scelta dell’idioma nazionale sia coincisa con l’interesse di un’etichetta discografica svizzera, la Road Sweet Road, che ha licenziato poi il nostro ultimo disco, “Dispersi”.


A proposito dell’ultimo disco, avete tirato fuori un blues grintoso e corposo. A mio parere, una goduria assoluta. Incredibile come si presti alla lingua italiana o al dialetto abruzzese. Tanto che mi fa pensare: come fa il blues a essere ancora così bello? Solo perché siete bravi voi?


Se siamo o meno bravi non possiamo certamente essere noi a dirlo. Prendiamo atto delle buone recensioni che ha ricevuto il disco e delle richieste che ci arrivano per i concerti - più dall’estero che dall’Italia è vero - ma pazienza. La maggior parte degli operatori culturali nazionali conosce il progetto, non può essere un rammarico se piace o no, tanto per noi, quanto per loro. Il discorso sul blues è invece più articolato e complesso. Siamo di fronte a una forma musicale diretta e semplice, fatta di pochi accordi, di rapporti armonici assai simili a diverse musiche popolari nel mondo, Italia inclusa. La differenza - come sempre - viene fatta dall’anima e dalla passione che ci metti dentro. Questa peculiarità rende il blues molto trasversale, apprezzato in contesti anche fra loro molto diversi. A noi, ad esempio, è capitato di suonare per strada, in mezzo al caos del traffico, di fronte a un pubblico sospeso per un attimo dall’inseguire la propria vita. Ma abbiamo suonato anche nelle sale concerto, dove non si sente volare una mosca e si percepisce in maniera palpabile la voglia di ascoltare il respiro delle note.


Alla fine il pubblico se ne frega della lingua, si fa trascinare dalla musica, giusto?


Abbiamo avuto più volte la prova che la lingua non costituisce affatto un limite. Soprattutto in Germania ci hanno più volte fatto intendere che l’italiano, inserito nel contesto del blues, suona molto intrigante, quasi esotico. Alla fine, credo che il mood, il groove e l’attitudine generale della proposta musicale facciano sempre una grande differenza, rappresentando aspetti universali della musica, che tutti possono capire, al di là delle barriere linguistiche.


C'è una città o un concerto a cui siete più legati?


Ogni concerto ci lascia sempre qualcosa, indipendentemente dal luogo dove si tiene. Il bello di suonare in giro è conoscere meglio i contesti e le persone. Non si riesce a vedere granché delle città dove si suona, ma si scoprono altri aspetti dei luoghi e delle comunità - forse più profondi e significativi - che da turisti probabilmente non si riesce a intercettare e comprendere fino in fondo.  


Perché ancora il blues? Può ancora comunicare qualcosa alle nuove generazioni?


A mio parere esiste un grande equivoco intorno al blues, che rischia di portare alla sua stessa estinzione. I principali artefici di questo equivoco siamo noi musicisti, soprattutto quando non riusciamo a liberarci dai cliché, dal tecnicismo autoreferenziale, dall’aura mitica della cultura angloamericana, che pare debba per forza costituire un esempio monolitico da ripetere pedissequamente. Come collettivo di musicisti abbiamo cercato di uscire dalla logica della “riserva indiana” per rimescolare le carte, non solo adottando l’uso della madrelingua o del dialetto, ma recuperando anche elementi della musica nazionale, sia folk, che cantautorale. Non so quanto siamo riusciti in questo tentativo e, soprattutto, quanto di tutto questo lavoro possa arrivare alle nuove generazioni. La scelta del formato solido (il vinile) e di non farsi brillare per vanagloria sulle piattaforme costituisce un limite consapevole. Mi auguro solo che i millennial non scoprano con stupore la nostra musica fra qualche anno, liberi dall’influenza del suono digitale e di tendenza, ma - al contempo - troppo tardi per poterla ancora apprezzare nella sua forma migliore: analogica e dal vivo.


Nel disco si parla di dispersione, di ritrovamenti, ma anche di andare e vagare. Ecco, come il blues è senza radici, la strada è la vostra vera casa?


La tematica di fondo dei brani è incentrata sulla confusione dei tempi che stiamo vivendo. Il fatto che non esistano più certezze e punti di riferimento sta facendo naufragare molte speranze per il futuro. In questo contesto, alla maggior parte delle persone pare normale e consolatorio trasformare la propria esistenza in una grottesca parodia, dove i pensieri, i sentimenti e persino i corpi possano essere migliorati, editati e modificati. Uscire di casa e vagare sulla strada alla ricerca delle proprie imperfezioni e dei propri limiti sembra uno stile di vita sorpassato, un modo forse estremo di sperimentare l’esistenza, ma probabilmente anche l’unico per recuperare qualcosa di sacro a cui potersi aggrappare con fiducia.


Cosa volete trovare e cosa volete perdere nell’avventura musicale?


Direi trovare noi stessi e perdersi di nuovo. Poi sperimentare ed errare - nel senso di commettere errori, ma anche di vagabondare - come se si trattasse della migliore e più gloriosa opportunità di salvezza.








sabato 8 giugno 2024

La Poesia, tra Esigenza e Urgenza

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Barbara Dall'Idro sulla necessità della poesia e la sua urgenza.


Barbara Dall’Idro, studi classici e Laurea Magistrale in Filosofia, è una poetessa italiana. I suoi componimenti sono inseriti in diverse antologie poetiche corali e riviste d’arte e letteratura. Le poesie giovanili dell’autrice sono raccolte nell’esile silloge “Ydrentòs”; con l’opera “Il Mantello di Urano” rientra nella rosa dei selezionati al Premio Letterario Città di Como; le poesie di “Oltre il Caos Hemera” vengono scelte per la pubblicazione sulla rivista d’arte e cultura contemporanea Lollipop. È stata giudice al IV concorso poetico La Parola Vista, partecipa come ospite a diverse manifestazioni culturali nazionali ed internazionali. È inserita nell’Almanacco Poetico Contemporaneo 2024. Collabora con diversi magazine e pubblica periodicamente componimenti inediti per Disvelare Edizioni. Tutti gli aggiornamenti, in merito a pubblicazioni ed eventi si trovano sul sito ufficiale della poetessa https://www.barbaradallidro.it/.


Quando ti sei accorta che per te la poesia è un’importante forma di comunicazione?

Durante gli studi, da giovanissima ho conosciuto un’appassionata professoressa di lettere, che mi ha guidata nel comprendere la portata comunicativa della grande poesia. Ho successivamente approfondito l’argomento durante l’Università, seguendo le lezioni magistrali di Poetica e Retorica e Psicologia e Sociologia dell’Arte e della Letteratura.

Che rapporto hai con la Poesia?

La Poesia è il mio Spazio-Tempo Libero dalle leggi fisiche. Scevro di obblighi. La letteratura, non saggistica, trova verità unicamente se non è un lavoro e non lo si considera tale, se non ci si costringe. La Poesia si palesa e trova efficacia quando è esigenza, necessità. 

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

La parola ha sempre valore, sono i contesti in cui viene utilizzata a depredarla, assecondando il pubblico di riferimento. La Poesia è il manifesto del valore della parola e della sua dignità, contro ogni suo uso improprio. Il poeta è custode di un significato, che sente l’urgenza di descrivere, ed è ricercatore della forma perfetta per esprimerlo, la parola scelta.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell’intelligenza artificiale?

Per quanto riguarda l’arte letteraria, non c’è competizione, la parola poetica è dell’essere umano, in quanto nasce da esigenze che appartengono all’uomo, lo caratterizzano. C’è un percorso emotivo dietro ogni scelta lessicale, un’evocazione intima. L’intelligenza artificiale non prova frustrazione o soddisfazione nella ricerca della parola, agisce meccanicamente e può essere utile per il marketing.

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?

Sono sempre in divenire, mi riconosco soprattutto nel presente, nei componimenti ancora inediti. 

La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?

Sì, attraverso i mezzi a loro congeniali soprattutto. Cambia lo strumento con cui si diffonde la poesia, ma non l’efficacia comunicativa. 





domenica 2 giugno 2024

Buon viaggio Filippo

Un'infinità di personaggi, una moltitudine di personalità artistiche, un'unica grande persona, Filippo Sortino, il nostro Italo Guerriero.



Freddure, riflessioni, satira, ognuno ha una vignetta di Filippo del cuore, nel cuore; tutte insieme costituiscono il suo paradiso. Quello che era in terra, per la sua passione di disegnatore, e quello che sarà nell'emisfero celeste della nostra memoria.


Buon viaggio Filippo 
Parlano le tue vignette