Poi venne il desiderio di pace. Giacere amando. Intrecciare i piaceri. La voglia di assecondare il bolero sensuale delle note, emesse dalle casse dello stereo che riproduceva “Dummy” dei Portishead.
La voglia di sentire nella musica lo stesso movimento delle onde del mare, del loro respiro sostituirsi al nostro respiro, anche se il fresco del liquido salato sulla pelle non ci aiutava a sfuggire alla bollente estate di San Leone.
Dal pelo d’acqua non arrivava altro che un baluginio accecante, il sole cuoceva la sabbia, l’asfalto, i mattoni e non avevamo dove trovare rifugio dalla calura.
Il fuoco era fuori, il fuoco era dentro.
Bramavamo la notte, la notte inoltrata di quando finalmente l’umidità evapora dai bronchi e le tenebre sono più fitte.
Tu mi dicevi che avevi paura. Che sono tempi aspri. Che sarebbe stato tempo di vedere oltre la finzione. Oltre le maschere indossate, negli sbagli che ognuno di noi nasconde nei propri rimorsi, nei propri incubi, nei propri tormenti.
Avresti compreso anche i miei desideri peccaminosi, i nostri pensieri incendiari, impossibili da contenere, in quel momento in cui la nostra pelle non abbronzata, percorsa dai brividi, parlava la lingua del piacere.
Un incendio dei sensi che ci illudeva di essere superiori a qualsiasi falsità. Cercavamo consolazione e non la trovavamo che fisica, che momentanea. Tutto avrebbe potuto essere così dolce.
Respira, io ti dicevo. Respira. La paura rimaneva lì. Il piacere e la paura.
Tu mi continuavi a dire che avevi paura. Paura del presente. Paura del futuro. Non avevi voglia di ricordare i sogni, perché avevi timore di perdere quello che con fatica avevi ottenuto. Avevi paura di perdere la voglia di provarci.
Era questa la dolcezza che cercavi, ma in questa vita bisogna restituire sempre tutto. Anche se provarci, comunque, avrebbe potuto essere così dolce.
Questa solitudine che non ti lasciava. Eravamo lì insieme e questa sensazione di solitudine non ti lasciava.
È tutto un grande inganno. L’amore è il più grande inganno. Tutta questa pace era soltanto una guerra. Un guerra che si combatteva nel nostro inconscio. Il senso del nostro essere lì insieme svaniva in un senso più grande di solitudine che intorpidiva il cervello. La volontà.
Avevi paura. Avevi paura e ti sentivi sola. La strada, dicevi. Non
abbiamo trovato la nostra strada. Ogni passo sembra affondare nelle sabbie mobili dell’oscurità.
Non avevo voglia di chiedermi cosa mi avesse portato fin qui e non avevo voglia di pensare che fosse tutta una menzogna. Questa vita, una menzogna. Eppure così vera. Il tuo tremore, il tuo sudore, il tuo deliquio. Gli occhi inumiditi dal piacere. Avresti voluto urlare ma non ce la facevi, avresti voluto urlare ma ti stavi frantumando dentro. Ci stavamo crepando interiormente, schiavi delle sensazioni. Più rumorosi, comunque, di un ventilatore arrugginito che a malapena smuoveva le tende della camera da letto.
Mi dicevi di avere paura, di sentirti sola, e non volevi che andassi via, lontano da te, anche soltanto per mangiare una granita quasi già sciolta. Facevi di tutto per trattenermi a te. M'intrattenevi con la freschezza delle tue labbra, m'imprigionavi, e io mi lasciavo imprigionare. La paura più grande, quella di svegliarsi da questo sogno.
Anche se dovesse essere notte per sempre, avremmo vagato nel buio freddo come stelle erranti in eterno. Avremmo vagato come stelle erranti per sempre. Nel cielo notturno. Mentre i primi fili di luce penetravano dalla finestra e l’alba avrebbe inghiottito le tenebre, nuovamente.
E sarebbe tornato il giorno, e sarebbe tornato il caldo, e sarebbe tornata la voglia di pace. Beatamente illudendoci, cullati dalle onde della musica e del mare, che il futuro fosse lì tutto a nostra disposizione. Tutto a mia disposizione.
I Portishead nel 1994:
Beth Gibbons – voce, chitarra, tastiera.
Geoff Barrow – giradischi, batteria, campionatore.
Adrian Utley – chitarra.
Dave MacDonald - produzione.