domenica 11 febbraio 2024

Non sono poeta da salotto

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali

Chiacchierata con Ilaria Giovinazzo

Nata a Roma nel 1979. Laureata in Lettere con una tesi in Storia delle Religioni. Arteterapeuta plastico figurativa e docente di Lettere e Storia dell’arte nelle scuole superiori.

Ha pubblicato i seguenti romanzi “Anime perdute (Effedue, 2001), “Non posso lasciarti andar via” (Prospettiva, 2005), “Donne del destino” (Besa, 2007) e le raccolte poetiche “Come un fiore di loto” (Ensemble, 2020), “La simmetria dei corpi" con la prefazione della poetessa siriana Maram Al Masri (Ensemble, 2021), “La religione della bellezza” (PeQuod, 2023). Nel 2022 pubblica anche libro illustrato per bambini “Life. 10 cose importanti” (Fuorilinea) e nel 2023 cura la plaquette, edita da Ensemble, dell'evento "Sinfonie Poetiche. Concerto per corde e fiati" da lei ideato e diretto. Ha ricevuto premi, segnalazioni e menzioni d’onore a diversi concorsi letterari, tra cui il Premio Internazionale di poesia Ossi di seppia e il Premio Lorenzo Montano. Vive e lavora tra le colline sabine.



Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione? 

Credo che scrivere poesie sia una necessità umana. Alcuni possono non avere gli strumenti per farlo in modo qualitativamente “alto", altri non conoscere affatto le modalità con cui esprimersi poeticamente ma se penso ai miei primi tentativi poetici adolescenziali mi rendo conto di come fosse naturale per me scrivere in quel modo quelle cose lì. Ovviamente a scuola studiavamo i poeti e le poesie della tradizione e un imprinting poetico ci era stato comunque dato. Nel mio caso però, sentendolo un linguaggio vicino alla mia sensibilità andavo poi a cercare avidamente altro. Alle medie leggevo la Dickinson, Prévert, Ungaretti. Durante i primi anni delle superiori scoprii Neruda, Whitman, Shelley e tanti altri.


Che rapporto hai con la poesia? 

È il mio linguaggio dell'anima. Lo uso quando devo esprimere qualcosa di indicibile in altri modi. È il mio linguaggio magico. Riguardo al leggere poesia devo ammettere di andare a sentore, scelgo le mie letture per affinità non perché vanno lette. Molta poesia italiana non l'ho mai affrontata perché lontana dalla mia visione della vita e della letteratura. Leggo molta poesia straniera, in cui la dimensione spirituale e simbolica ancora persistono.


Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?


Più di prima. Oggi dobbiamo fare ancora più attenzione alle parole che usiamo e di cui abusiamo.

Il fatto che si scriva di più non significa che si scriva meglio di prima. Si scrive troppo e male spesso. La quantità di testi di medio livello, se non di pessimo, e la quantità di informazioni circolanti non vanno di pari passo con un'evoluzione in termini di qualità e valore di quei testi.

Molta informazione è superficiale e di cattiva qualità. C'è un uso propagandistico del linguaggio e lo vediamo in questo periodo, in cui i media utilizzano alcune parole invece di altre per ottenere una polarizzazione dell'opinione pubblica. 

La poesia riprende la parola e la riporta a darle significato, la riporta al ruolo sacro che aveva un tempo. In India tutto l’Universo ebbe ìnizio con la una sillaba sacra: Om.


Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?


L'AI non ha cuore, emozioni, genialità. 


Qual è la tua opera (o le tue opere) in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare? 


Per la narrativa, fino ad ora, sicuramente un mio romanzo del 2007 “Donne del destino". È un romanzo composto da tre storie ma tutte ruotano intorno al ruolo della donna, dell'amore come strumento di crescita spirituale. È un libro in cui ho cercato di condensare le mie idee ma anche le mie conoscenze in ambito storico religioso. E poi è un libro con una forte impronta femminista, se vogliamo usare questo termine, per dire che riscatta il ruolo di alcune donne del passato.

In poesia forse le mie ultime due raccolte: “La simmetria dei corpi" e “La religione della bellezza".


La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni? 


Sì, assolutamente ma deve andare incontro ai giovani, essere comprensibile per loro, affascinante, fruibile, vicina al loro sentire e al loro mondo. Se pensiamo al fenomeno dei poeti della Beat Generation vediamo come la poesia in quel caso sia diventata strumento di lotta e rivendicazione e usata e creata dai giovani che volevano contestare il vecchio sistema. Se la poesia non parla la loro lingua difficilmente potrà comunicargli qualcosa. In Italia siamo ancora legati a una tradizione poetica che fatichiamo a superare, a scardinare. Si tratta di riappropriarci di nuove formule, nuove parole, stracciare il canone e crearne di nuovi o non crearne affatto. È terribile vedere come la poesia italiana sia chiusa in forme strutturali e linguistiche ormai tutte uguali, legate spesso ancora al tardo Novecento. La poesia contemporanea italiana è ferma agli anni Sessanta e non guarda fuori dai propri confini. Ci sono poeti che non considerano poesia lo slam, la poesia performativa e schifano letteralmente alcune correnti poetiche. Quando i poeti usciranno dai salotti per andare nelle piazze, quando dalle aule universitarie scenderanno nei locali e nei pub, quando tenderanno la mano ai ragazzi per trascinarli con sé, allora la poesia potrà tornare a comunicare ai giovani.







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