domenica 31 dicembre 2023

2004. Kasabian



Quando è avvenuto il cambiamento? Quando? Quando è successo che tutto quello che avevamo conosciuto fosse stravolto?

Centrifugato in un vortice di notti, ad alto contenuto di alcol e poesia, avevo sempre avuto chiaro cosa fosse il futuro. Una notte liquida era il futuro. Qualsiasi fosse la notte che stessi vivendo in quel momento, quello era il futuro. Mentre il presente mi stava sgretolando il terreno sotto i piedi e non me ne accorgevo. Non me ne rendevo nemmeno conto. 

Ero legato alla parola. Al suono della parola. Alla voce. Agli effetti della sua emissione nell’aria, del suo infrangersi su un corpo, del suo infrangersi su un altro orecchio e alla sua trasformazione, una volta assorbito, e restituito. Mutazione. Dinamica. 

Andavo nel locali notturni dove ancora si fumava e declamavo poesia mentre le parole rimbalzavano sulle nuvole dei pensieri, sedotti e seducenti, e sulle nebbie cannibali di fumo. La chiamavo Poesia e pensavo fosse quello il cambiamento. La mia rivoluzione. 

Invece la rivoluzione stava avvenendo davvero ma non era la musica a veicolarla. Non era neanche la letteratura. La trasformazione sociale era telematica. Non era nemmeno così lenta. Veloce, molto veloce, troppo veloce. Forse per questo non ho avuto il tempo di accorgermi. 

La parola era di nuovo al centro. Una parola svuotata, senza suono, senza vita. Fissa. Morta ancora prima di poter vivere, di emettere il primo vagito, il primo respiro. Sulla punta delle dita di tutti quelli che avessero una tastiera a disposizione. A disposizione di chiunque. Lanciate e accumulate in questo universo di comunicazione che non comunica niente. A creare un cimitero cibernetico dalla contagiosità molto elevata. Un contagio totale che si è diffuso a tutti i livelli. Arte, politica, società. Inoculavano morte culturale. 

Tanti di noi si sono persi. Passeggiando come morti viventi tra le lapidi in cui imprevedibilmente iniziavano a svilupparsi anticorpi alternativi, resistenti, nuove forme di vita. Qualcuno di noi incominciava ad orientarsi. Anche grazie a dischi come “Kasabian”(2004), l’esordio dei Kasabian, appunto. Abbiamo compreso che anche l’elettronica può avere un’anima. Un’anima Rock. 

Tutto un test di trasmissione. Il nemico non ce l’abbiamo più all’esterno, il nemico ce l’abbiamo dentro. Ce l’abbiamo tra le mani. Più stravolgente di una sostanza artificiale, più velenoso di un serpente geneticamente modificato. La più potente dipendenza. Il nemico ce l’abbiamo tra le mani. Ognuno chiuso nel mondo della propria proiezione virtuale. Solo. Solo con uno schermo davanti agli occhi che soddisfa tutti i desideri. Sul monitor una linea lunga e piatta.

Non rimane poesia, la musica non vende, notizie false, gli uomini politici sbavano di rabbia e promesse schiumanti. Non rimane niente, dei profumi e delle puzze. Del sudore e dei brividi. Inermi davanti ad un’invasione di microchip roditori. Siamo esperimenti di uno scienziato spietato. La decomposizione, la necrosi, la realtà continua a proliferare. 

Lentamente il pulsare muove una minuscola onda. 

Il pulsare, che sia un beat elettrico o un battito cardiaco, è sempre pulsare. Tagliando qua e là tra la spazzatura mediatica. Come una cadenza, come un ritmo musicale. Questo ritmo si fa melodia, si fa viaggio, si fa visione oltre. Si fa vita. Apre una nuova dimensione del tempo. 

Per me che l’amore era sempre lo stesso, legato alla materia, adesso avevo una nuova percezione della consistenza della notte. Anche io potevo essere un uomo del futuro. Bisognava soltanto cambiare piattaforma, codificare un nuovo linguaggio nella piattaforma mentale. Anche se i figli si facevano ancora alla vecchia maniera (non per molto), con piacere e incoscienza, e un buon whisky era sempre un buon whisky.


I Kasabian nel 2004: Sergio Pizzorno, Christopher Karloff, Tom Meighan, Chris Edwards.


Tracklist: 1.Club Foot. 2. Processed Beats. 3. Reason Is Treason. 4. I.D..5. Orange. 5. L.S.F. (Lost Souls Forever). 6. Running Battle. 7. Test Transmission. 8. Pinch Roller. 9. Cutt Off. 10. Butcher Blues. 11. Ovary Stripe. 12. U Boat





sabato 23 dicembre 2023

Ogni tanto tocca a me

 Spesso sono io a fare domande agli artisti che incontro, questa volta, invece,  è toccato a me essere invitato a rilasciare qualche dichiarazione. 



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sabato 16 dicembre 2023

BENVENUTI NEL PRIMO MONDO- VIDEOPOESIA



La visione del Primo Mondo di un bambino, nelle immagini, in parallelo alla visione del Primo Mondo di un adulto, nel testo. 

"Benvenuti nel primo mondo" è una videopoesia sperimentale che unisce la regia video di un bambino, mio figlio Luigi F. che, all'epoca della raccolta del materiale, aveva sei anni e un mio testo corroso e corrosivo. 
Con la fondamentale collaborazione alla musica del mitico creatore di groove Rough Max Pieri. 

Benvenuti nel primo mondo 
Poesia e voce: Gabriele Peritore 
Musica: Rough Max Pieri 
Regia video: Luigi Filippo Peritore e Gabriele Peritore 

Per visualizzare al meglio aprire a tutto schermo. 



 

domenica 10 dicembre 2023

Sottrazioni

 


Chiacchierata con Bartolomeo Smaldone (2018)




Nello scorso mese di Marzo è uscita la raccolta di poesie “Sottrazioni” (Alcesti Edizioni) di Bartolomeo Smaldone. L'autore altamurano, con un paziente e sapiente lavoro di ricerca alla radice del suono della parola, ha realizzato questa silloge in cui ogni poesia è costituita da pochi versi e pochi, pochissimi, lemmi pregiati. Ogni parola è restituita al suo suono originario e al suo riverbero nei pensieri di chi legge, nelle onde acustiche di chi ascolta, oltre il senso e la stratificazione. Abbiamo incontrato Bartolomeo per farci raccontare qualcosa in più su di lui e la sua arte. 

Mi sembra di capire che per te in questo libro sottrarre non vuol dire togliere valore alla parola ma aumentarlo… ho capito bene?

Hai compreso alla perfezione il senso di questo mio nuovo lavoro nel quale è centrale il ruolo della parola nelle sue concise alchimie. “Sottrazioni” è una raccolta improntata all’essenzialità del suono dei sintagmi, che in questo caso considero complementare rispetto al senso e talune volte addirittura prevalente. Non è un caso che nell’elaborazione della struttura dei componimenti un ruolo fondamentale sia stato ricoperto dagli accenti.


Nella postfazione a questo libro c’è una bellissima similitudine con cui spieghi questo concetto… una ricerca paragonabile a quella di scavare nella pietra... ce ne daresti un approfondimento?

La similitudine cui ti riferisci, quella citata nella mia nota a “Sottrazioni”, riguarda la città di Petra, capitale del regno dei nabatei. Una città ricavata scavando la roccia d’arenaria. Nel momento in cui, in modo del tutto casuale, mi sono ritrovato tra le mani un volume d’arte nel quale si raccontava per parole e immagini la monumentale bellezza di Petra, ho capito che nessun altro accostamento iconografico avrebbe potuto descrivere meglio il senso di poesie così epigrammatiche, ottenute sottraendo artigianalmente e pazientemente tutte le sedimentazioni accumulatesi nel mio inconscio nel corso degli anni, fino a raggiungere un’armoniosa substanzialità. Un pieno ricavato da un altro pieno, lavorando la stessa materia: la parola. 


"Quante stelle hai visto/arrendersi/alla carne del tuo desiderio?" Questo è un tuo splendido esempio di come si può trovare un pieno ricavato da un altro pieno. Dalla tua biografia emerge il fatto che sei autore di numerosissime pubblicazioni… poesie, racconti, romanzi… mi sembra di capire che al centro della tua produzione così varia ci sia sempre la parola… o c’è un altro filo conduttore? 

Ho scoperto nel corso degli anni che nella mia produzione era sempre stata centrale la parola e che avrebbe dovuto continuare a essere così. La parola è la forma d’arte più democratica in assoluto. E anche la più potente. In ogni parola esiste un suono e un movimento; esistono paesaggi insoliti. La possibilità di poter combinare tra loro le parole in schemi sempre nuovi è quanto di più entusiasmante possa concedersi a un poeta.

Secondo te questo concetto vale anche in questo periodo storico dominato dalla comunicazione globale?

Il potenziale della parola rimane sempre infinito e immutato, ed è ancora esprimibile in forme diverse; è ancora sondabile; può essere ancora rivoluzionato, anche partendo da un certo recupero della tradizione letteraria, poetica. A patto, però, che non si accettino compromessi rispetto alla solennità del verbo, che oggi appare sempre più maltratto e ridotto a semplificazioni offensive. 

Non è certo il tuo caso. In ogni tuo lavoro si percepisce questa sacralità della parola... Nella tua vasta produzione ce n’è qualcuna a cui sei più legato? 

Il libro cui sono più legato è quello che verrà pubblicato a novembre di quest’anno e si intitola “Disobbedienza”: una raccolta di poesie costruite attorno all’opera “Antigone” di Sofocle.

Un'opera dedicata ad un autore simbolo della tragedia... Ci riporta all'arte sviluppatasi nella Antica Grecia e nelle sue colonie, sparse anche nel sud Italia. Adoro gli autori che si occupano principalmente del loro territorio… tu sei pugliese, che rapporti hai con i tuoi luoghi?

Un rapporto irrinunciabile, lo stesso che lega un figlio a una madre. Il mio territorio, il mio Sud, in tal senso non fa sconti: è spietato. Non accetta di essere amato parzialmente. È così invadente da risultare infine indispensabile in tutte le sue espressioni, soprattutto in quelle più arcaiche, che ancora dominano taluni volti e moltissimi paesaggi.

La tua Madre geografica ti ha voluto poeta, narratore e inoltre diffusore di cultura a tutto tondo… sei infatti tra gli organizzatori del Movimento Culturale Spiragli… ci vuoi raccontare qualcosa in più della vostra attività?  

È un progetto culturale appassionato che coinvolge molte persone in tutta Italia e anche all’estero. È un luogo confortevole nel quale coltiviamo ostinatamente la nostra utopia: riportare la cultura, le arti, l’umanesimo, al centro di tutti i dibattiti, per poter riedificare finalmente la società su fondamenta virtuose: quelle dell’inclusione, della collaborazione, dell’apertura all’alterità, dell’accoglienza senza eccezioni e pregiudiziali.

Con il vostro Movimento Spiragli organizzate un premio di poesia intitolato a Beppe Salvia… ci diresti qualcosa di più? 

Beppe Salvia è prematuramente scomparso nel 1985 e purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscerlo... è stato un grandissimo poeta del ‘900, del quale si sa e si dice pochissimo. È stato un grande innovatore, perché, tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80, ha restituito a tutti i gli amanti della grande poesia una consapevolezza che sembrava essere stata irrimediabilmente perduta, ovvero il potenziale ancora esprimile di una lingua che può a ragione vantare di avere una musicalità unica. ‹‹Me ne vado vagando e v’assicuro›› è il verso di Beppe che, almeno a parer mio, esprime in maniera più compiuta il nuovo slancio che egli seppe dare al nostro italiano. Un verso di abbacinante bellezza e potenza. 

Sono d'accordo sulla grandezza di Beppe Salvia e in effetti sono felice che abbiamo avuto modo di citarlo in questa intervista... Un'ultima domanda per salutarci. Quando si pubblica una poesia l’autore non ne è più padrone, diventa di chi la legge… cosa speri che trovi in queste poesie chi ti legge?

Spero che trovi qualcosa di diverso da ciò che vi ho trovato io, perché questo darebbe pienezza al processo creativo.





domenica 3 dicembre 2023

Leonardo Sciascia: “Il cavaliere e la morte” (1988)


 

Seduto alla sua scrivania, il commissario Vice, guarda l’incisione che si porta dietro, in ogni ufficio, di ogni città in cui ha lavorato. Una stampa raffigurante un cavaliere sul suo bel cavallo, la Morte e il Diavolo. Conosce a memoria quel disegno in ogni minimo dettaglio: la precisione del tratto, la prospettiva, la ricchezza degli elementi. In quello scenario allegorico ambientato nel tardo medioevo ci vede i simboli della vita, della sua vita, della vita in generale. Questa stessa incisione forse è quella preferita di Leonardo Sciascia, collezionista appassionato di questo tipo di arte. In particolare modo predilige l’opera di Albrecht Dürer, tanto da inserirla nel suo romanzo, aprendo una serie di parallelismi sorprendenti. “Il cavaliere e la morte”, viene pubblicato nel 1988, quasi alla fine (avvenuta nel 1989) di una vita vissuta all’insegna della lotta al sonno della ragione. Come uomo e insegnante prima, e come scrittore e politico poi, è sempre stato impegnato in prima linea per fare emergere la Verità. Anche se, con il passare degli anni, si accorge che la vera Verità è sempre più sfuggente e sempre più difficile da afferrare. Questa visione pessimista è perfettamente riportata tra le pagine del libro e affidata allo sguardo amaro e realista del protagonista senza un nome, segnalato semplicemente con l’appellativo Vice. Forse perché un nome non serve, essendo la proiezione più intima e fantasiosa dello stesso scrittore di Racalmuto. Leonardo Sciascia, sempre attento alle dinamiche contraddittorie della sua terra (espressa egregiamente nella sua opera saggistica), ha spesso mostrato di prediligere la tecnica narrativa del giallo nei suoi scritti, basti ricordare le pagine esemplari del romanzo “Il giorno della civetta” (1961) che avvia la stagione della letteratura sulla mafia, facendone emergere elementi fino ad allora ignorati. Altrettanto significative sono le pubblicazioni di “A ciascuno il suo” (1966), del “Contesto” (1971) o del bellissimo  “Todo Modo”(1976), inviso agli alti gradi delle gerarchie ecclesiastiche. Nel periodo di operato politico, oltre a battersi per diritti ritenuti fondamentali, civili e sociali, prima tra le fila del Partito Comunista (lasciato in maniera polemica) e poi tra quelle dei Radicali dal 1979, si è speso in progetti artistici in forma di inchiesta. Si è prodigato per fare luce su faccende immerse  nel mistero assoluto come “Atti relativi alla morte di Raymond Russell”(1971) o “La scomparsa di Majorana” (1975). Ha suscitato parecchio scalpore la pubblicazione sulla carta stampata nel 1978 de “L’affaire Moro” , che indaga tra le connivenze tra Stato e Antistato, in questo caso le Brigate Rosse. Non ha mai amato le posizioni comode, anche a costo di risultare impopolare. L’indagine che più l’affascina e avvince è quella sul Potere: su cosa sia in realtà, quali siano le sue dinamiche. Nei regimi dittatoriali era facile trovare il nemico. Nel sistema sociale democratico è difficile, molto difficile, quasi impossibile. Il potere costituito è caratterizzato da una fitta trama di segreti inconfessabili. Le relazioni sottaciute, gli insabbiamenti, la corruzione, gli incartamenti che scompaiono. I prestanome, i messaggi cifrati, l’arte di non sporcarsi le mani. I flussi economici hanno la necessità di essere orientati nella giusta direzione, cioè nelle tasche di chi comanda, e serve un apparato che riesca a ripulire tale massa di denaro in modo da aggirare il fisco, sistema messo in piedi dallo stesso potere. Si innescano una serie di connivenze necessarie a mantenere inalterato tale riciclaggio quotidiano, il voto, il voto di scambio, la compravendita dei voti. Con leggi, controleggi e postille, corrieri incappucciati, sportelli bancari volanti, di piccoli stati dentro lo Stato. Il flusso di denaro più grosso arriva dal traffico di stupefacenti, altri minori dal gioco d’azzardo e dalla prostituzione. Tutto questo apparato sotterraneo di relazioni con esponenti delle varie cosche mafiose sparse su tutto il territorio nazionale, e quello alla luce del sole, di politici e industriali, con l’informazione debitamente pilotata, serve a consolidare il potere stesso e il sollazzo dei protagonisti principali di tale famelica pantomima. Era così allora ed è così anche adesso, soltanto che adesso il Popolo non conta più niente. Di tutto questo si è sempre occupato lo scrittore siciliano, innalzando la sua critica dalle pagine dei giornali con cui collaborava. Degli intrighi di potere indaga anche il commissario Vice. Un avvocato ucciso in maniera singolare e i sospetti che indirizzano verso uno dei suoi amici più intimi, l’industriale Aurispa. Non è un giallo d’azione, è la risoluzione di un rompicapo che si consuma sul territorio della psicologia e dell’intuizione pura. Mentre dai piani alti della questura provano a depistare le indagini con false prove che portano a neonati gruppi terroristici. Un po’ come succede nella realtà attuale a livello mondiale. Prima della stesura del romanzo a Leonardo Sciascia viene diagnosticato un cancro, e il peso e il senso della malattia si avvertono sul romanzo. Utilizza un linguaggio più ricercato ed elegante, vicino allo stile barocco, mai sperimentato nei precedenti lavori, come a voler dare prova a se stesso, prima di morire, delle sue qualità espressive. Anche Vice è malato e le riflessioni sul cancro sembrano condizionare le sue decisioni. Una società malata, soltanto un soggetto malato la può comprendere, e forse immunizzare come un anticorpo. Cosi l’incisione di Dürer assume nuovi significati, perché la Morte è raffigurata come se sembrasse una mendicante, quindi stanca e quasi impotente. Lo stesso vale per il Diavolo, una maschera grottesca che fa sempre meno paura, perché gli esseri umani sanno fare di peggio. Rimane il cavaliere, nella sua armatura sfavillante che rappresenta la Vita, forse l’ultimo travestimento della Morte. Nel suo capolavoro, Sciascia, non riesce a far trionfare la Verità o la Giustizia, c’è soltanto la volontà di far trionfare la Ragione, alla maniera illuminista, come ha sempre fatto, in tutta la sua opera, fino all’ultimo giorno della sua vita.