domenica 22 dicembre 2024

Opera DeLirica- Videopoesia

Riprese video liberamente ispirate al Mito della Caverna di Platone. Nel tentativo di cogliere l'eterno conflitto tra Caos e Armonia, come si può evincere anche dai contenuti del testo.


Testo, voce e video: Gabriele Peritore 

Musica: Marco Pofi 

Arrangiamento e prod: Carlo Zambon 

Aiuto regia video: Luigi F. Peritore 


Estratto dall'opera "Lo scompiglio" con musiche di Marco Pofi e testi di Gabriele Peritore





“Non riesco a non pensare che ciò che è dentro è anche fuori”, ecco il refrain dove prende corpo il mito platonico, nella sua dialettica poeticamente espressa fra immagini-ombre e realtà-luce, difficile da guardare direttamente, per l’uomo. Dentro la caverna gli uomini prigionieri possono soltanto osservare le illusioni, sotto forma di riflessi, ombre, ma l’io non riesce a non pensare al fuori, alla liberazione, alla possibilità di attingere una realtà più vera. Ritmo ripetitivo, litania che spinge verso la conquista della luce attraverso il desiderio e la passione. Anche a questo spinge la poesia. 

Cristina Simoncini 


In “Opera Delirica”, nelle atmosfere di paesaggi sonori batte il tempo dei remi dei versi. Il non pensare che “Ciò che è dentro è anche fuori”, il mantra che spinge a cercare oltre la realtà, oltre le ombre di uno stato delle cose, altre verità.  È spingersi nel cercare la luce anche se la luce accecava. Liberarsi è approdo nell’unione che genera nuova vita, per altre forme di luce.

Cony Ray


Un bellissimo viaggio alchemico, da fuori a dentro e da dentro a fuori, trasformativo. Davvero bravo! Sempre più bravo, tu❤️ Tutto molto bello, testo, riprese e musica. 

Marthia Carrozzo 


Minchia. È bellissima. Compiuta. Potente. Ha la forza e insieme l'essenzialità di un senso. un nuovo senso, il sesto, il settimo, il venticinquesimo.

Toti Careca


Bellissimo, parole e ritmo all'unisono. Profondo, appassionato e coinvolgente. 

Lina Gueli 


A dir poco G E N I A L E 

Stefania Giammillaro 


Stupendo veramente! Sia la poesia che il video e la musica... sintesi perfetta della tua poetica fluviale marina fantastica. Un intimismo che si riversa fuori in modo veramente avvolgente... mi viene in mente un movimento contrario di acque che vorticano intorno a un buco che invece di risucchiare le spinge fuori... poesia sorgiva che ricrea il mondo schivandone la dissoluzione

Alessandro Contadini 


Atmosfera onirica, incanto, brividi di emozione: grazie Gabriele!♥️

Maria Avanzini 


La forza dell'artista sta tutta nel comunicare a noi, comuni mortali, verità nascoste, spesso con crudezza, a volte con delicatezza ipnotica come tu sai fare magistralmente. 🔝

Maurizio Celloni


Potente!

Max Pieri 


Molto suggestiva!🙂

Gaspara Stampa 


Grazie Gabriele, molto significativo. Da meditare ogni parola. Bella e adatta anche la musica, bravi!

Claudia Martini 


È stato un piacere ascoltarla, perché mantieni sempre uno stile leggero e sospeso. 

M. P.


Il gioco delle ombre (la barca in particolare, poi le figure umane successive) e la voce "Non riesco a non pensare" diviene un loop che ora mi è entrato come un mantra. Più lo vedi più ti rimane. Ottimo l'utilizzo della pietra monumentale.

Marco Orlandi 


Molto belle le parole e anche la musica… perfetta!

Ivana Miccichè


Bellissime parole! Importante e coinvolgente! Complimenti davvero!

Alma Lico


Bello, complimenti. Un ritmo incalzante, musicale ma nello stesso tempo anche angosciante. Surreale, onirica, evanescente. Immagine e parole dense non oziose. Mi è piaciuto molto, complimenti.

Valen Tine 


Meraviglia! Veramente toccante, dolce e pieno d'ispirazione.

Benito Saluzzi 


Complimenti davvero, ho goduto a vedere belle immagini e anche a sentire la bella poesia!

Maryam


Un'avventura onirica che ti fa sfondare le pareti della coscienza. Tensione creativa che ti costringe a esplorare l'abisso che ci attraversa.

Immagini e parole intrecciate abilmente, ti portano altrove, e danzano tra le ombre di questa gemma d'autore.

Alberto Bottoni 


"Lo stesso pianto del fuoco...". Dall'idea al tutto, effusa è l'anima nel cosmo, che in lei stessa si compie. Non è da tutti rendere la tridimensionalità del sentire. Quest'opera ci riesce, in modo unico.

Viola Bruno 


Sogno di luce!

Riccardo Ragozzini


In un mondo dove l'essenza primaria è l'apparenza questo piccolo capolavoro dovrebbe essere proiettato sulle pupille di tutti noi per costringerci a guardare il mondo con i nostri veri occhi. Bravissimi 

Sandro Medici 


È sonora già nelle parole. È sonora nel commento musicale, in questo commento musicale. È sonora nelle immagini.  Da qualunque lato apri questo libro si spalanca un inizio. Potente! 

Alessandro Ciulla


Bellissima poesia di grande impatto emotivo accompagnata da video e musica superlativi. Complimenti di cuore

Valentina Ferrara 


Complimenti Gabriele, alla semplicitá delle immagini si contrappone un linguaggio poetico profondo, musica e testo si fondono alla perfezione, bravissimi!❤️

Antonio Franciosa


Perfetto l'accordo tra parola e immagine video, un gioco da ombre cinesi, sospeso tra favola e dramma, che rende l'impasto di luci e ombre di cui siamo fatti. I versi, scanditi dal refrain e di una interna musicalità, sono come un canto cosmico - riassunto nel desiderio e nell'amore umano - che agglutina i quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco. Un pensiero filosofico che si fa sinestesia poetica

Cinzia Farina


Straordinario viaggio interiore. Trovo che la tua sensibilità poetica sia commovente e coinvolgente. I tuoi versi conducono verso ed oltre il confine indefinibile dell'eternità del nostro essere e dell'universale destino.

Giacomo Carioti


Con Gabriele Peritore ombre, visioni e tentennamenti ci accompagnano nella ricerca del vero. La voce dell’autore si fa eco del reale, eco che oscilla tra più dimensioni: onirico, apparenza e verità.

Barbara Dall'Idro 


Un ipnotismo culla l’ascoltatore che oscilla nel ripetersi di un urlo composto. Il sogno, il sangue, la luce, sono tutti slanci vitali espressi con la grazia delle onde del mare.

Giulia D’Anca


Molto bella. La lettura e la musica hanno un ritmo sincopato, che è proprio quello delle domande che restano senza risposta eppure (o forse per questo) continuano incessanti.

Cinzia Pagliara 


Molto bella 

Miriam Piro


Ho sempre creduto che l'opera, attraverso la musica, il dramma e lo spettacolo, sia uno specchio che riflette le nostre esperienze, invitandoci a esplorare le profondità delle nostre emozioni e ad affrontare la complessità dello spirito umano. Immagini e parole "si innamorarono". Tutta la varietà, tutto il fascino della vita, tutta la sua bellezza è fatta di luce e ombra. Nella vita bisogna essere sognatori, perché se non sogni "muori". Complimenti per tutto.

Marzena Anna Tynior


“Non riesco a non pensare che ciò che dentro è anche fuori… follemente scalpita la luce, oltre la roccia”, oltre il muro… Siamo prigionieri delle nostre ombre. La luce un atto di coraggio, forse amore. Sperimentazione artistica seducente.

Antonella Caggiano 


Il dentro e il fuori convivono nello stesso sguardo, ma la visione pesa nei suoi confini, non va oltre il quadro, si limita in un piccolo spazio. L’occhio del video di Gabriele Peritore scandaglia il muro e il pavimento, in cerca di qualcosa. Così incontra disegni di ombra, un carosello di forme che non può riconoscere, né nominare. Questa è la realtà, l’unica verità per chi non ha esperienza diretta del mondo.

Luigi Colagreco 


Congratulazioni molto bello 

Paola Tagliaferro


Toccante e profondo 

Carmen Langellotto





 




 














domenica 8 dicembre 2024

Fred Buscaglione: quella miscela di swing e ironia

Per la rubrica: Archeologia musicale, il passaggio dagli anni quaranta ai cinquanta, in Italia, quando il modo alternativo e divertente di fare musica era ancora lo swing, e c'era chi lo sapeva fare alla grande. 



Un cappello a larghe falde sulle ventitré, un doppiopetto gessato e un paio di baffetti da sparviero, fanno balzare immediatamente alla mente l’immagine di Fred Buscaglione, un po’ gangster un po’ guascone. Un’immagine costruita ad arte, ispirata alla figura di Clark Gable, e impersonata con estrema naturalezza, perché cucita su misura. Come la risata da gradasso e l’uso del fischio- classico richiamo da uomo di strada- presenti nelle incisioni e nelle sue esibizioni. Fred (Ferdinando) Buscaglione, a dispetto dei natali poveri ha sempre studiato musica fin da bambino, anche al conservatorio di Torino (la città in cui è nato nel 1921) finché le finanze hanno permesso. Quando non ha potuto più frequentare le scuole ha continuato comunque a fare musica, ovunque e con qualsiasi strumento, pur di suonare, facendo dei lavoretti di bassa manovalanza per mantenersi. Fino alla chiamata alle armi per la seconda guerra mondiale. Ma non c’è guerra che tenga per uno come lui. L’amore per la musica è più forte, così anche da prigioniero in Sardegna trova il modo di intrattenere i suoi commilitoni. Venendo a contatto con le truppe straniere si impratichisce con i ritmi d’oltreoceano. Rock’n’roll, tango, milonga, merengue, rumba, ma soprattutto swing. La capacità di far tesoro di ogni esperienza gli permette di mettere su una band, gli Asternovas, composta da amici musicisti in grado di swingare tutto, ma proprio tutto, in presa diretta, e anche di cambiare genere al volo in base all’esigenza. Di passare, ad esempio, dallo swing al tango con tutti gli strumenti nel tempo di una battuta, nel caso in cui dalla frenesia urbana si doveva passare alla tematica della gelosia. Grazie al rapporto di amicizia fraterno con lo scrittore Leo Chiosso può costruire a tavolino l’immagine che porta in giro per l’Europa, anche nei più infimi locali. Esperienze queste che, però, contribuiscono a alimentare la sua leggenda. Un vero e proprio personaggio che parla e si muove come uscito da un romanzo hard- boiled. I testi si avvicinano prevalentemente alle tematiche del genere Bulli&Pupe. Il bullo ovviamente è lui. In molti dei brani più belli si presenta con tutta la sua spavalderia ed è un piacere per le orecchie ascoltare ancora oggi: Whisky Facile, Io Piaccio, Che Notte, Il Dritto Di Chicago, Le Rifififi. Tra la gente dei localetti di periferia il successo è immediato ma la celebrità è ancora lontana. Non è facile imporre il suo personaggio negli anni cinquanta. Un periodo storico in cui il nostro Belpaese subiva enormi cambiamenti. L’avvento del rock’n’roll, l’avvento della televisione, e i gusti degli italiani che si dividevano tra Domenico Modugno e Nilla Pizzi. Difficile soprattutto per lui che sceglie di presentare tematiche legate al sesso, all’alcol, alle botte, tutto comunque proposto e infarcito da un’impareggiabile ironia e altrettanta capacità di tenere il palco. Per ogni brano sceglie delle storie da raccontare con il suo stile da istrionico guitto e le porta in scena con gli Asternovas pronti, prontissimi, a trasformare in partiture le sue idee e a improvvisare se necessario. Il successo vero arriva nel 1958 con l’intramontabile Eri Piccola Così, brano che parla della gelosia e dello strapotere delle donne anche sull’uomo più duro. Tematiche che aveva già messo a fuoco con l’altrettanto celebre Che Bambola o anche in Teresa Non Sparare. Era sua abitudine prendere notizie fresche e ridurle in piccole storie da cantare, come nel caso della casalinga che spara al marito infedele. Oltre le sue capacità interpretative e dallo swing le sue storie erano arricchite da innovativi effetti sonori che ricreavano nell’incisione, sirene, frenate, sgommate, strilloni, tutto il mondo della strada, insomma. Proprio grazie a queste caratteristiche Fred Buscaglione è da annoverare tra gli artisti di quel momento che hanno contribuito notevolmente al cambiamento dei gusti musicali. La sua cifra stilistica già esplosiva si espande ancora di più grazie al suo lato romantico che lo porta a interpretare lo spaccone dal cuore tenero. Nella sua produzione sentimentale troviamo capolavori indelebili come Guarda Che Luna, Criminalmente Bella, Love In Portofino e come non citare Una sigaretta, Buona Sera (Signorina), e ancora Carina e Non Partir. In cui vengono esaltati il suo rispetto e la sua adorazione per le donne. La bellezza femminile è il centro dell’universo e il desiderio maschile gravita attorno con galante corteggiamento generando follia, felicità se contraccambiato appena da un semplice sguardo; tormento, sofferenza se non ricambiato. In poco tempo ha disseminato di genio le sue numerosissime creazioni ed è un peccato non poterle citare tutte. Ognuna andrebbe ascoltata come merita. Aveva trovato la strada per le luci della ribalta e le percorreva ogni notte alla massima velocità. Era richiestissimo da TV, radio e cinema. Proprio una di quelle albe del 1960, dopo una notte allegra, in cui si doveva recare a registrare uno spot pubblicitario, sfrecciando ad alta velocità con la sua Cabrio, si schiantava contro un camion che trasportava porfido. Uno scontro, proprio come nelle sue storie, la fine della vita, l’inizio della leggenda. Una scintilla la sua manifestazione artistica impressa con un sorriso nel firmamento della Musica. 













domenica 1 dicembre 2024

La poesia è tutto ciò che so

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Asia Vaudo sul valore della lentezza e su quanto possa propagarsi l'onda della Poesia. 



Asia Vaudo è laureata in filologia moderna e da diversi anni porta laboratori di poesia nelle carceri italiane. Dall’attività svolta sono nate delle antologie e una biografia scritta con un ex detenuto. Porta i laboratori anche in alcune scuole di Roma. È direttrice artistica del Poetry Village di Roma, conduce e ha condotto diversi eventi letterari in Italia, tra cui diverse volte al Museo MAXXI. Ha all’attivo cinque pubblicazioni.  


Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione? 

Ho sempre saputo l’importanza della poesia, che arriva laddove tanto altro non riesce a giungere. Ho sempre amato scrivere, da quando sono piccola. Ho avuto una meravigliosa maestra alle elementari che mi ha sempre spronata a farlo. Ho sentito il bisogno di fare poesia soltanto negli ultimi anni, poiché ho capito la natura fortemente lirica e poetica della mia prosa. Così ho iniziato un processo di “asciugatura”, lasciandomi incantare dalla parola che splende essenziale sul foglio bianco. 

Che rapporto hai con la poesia? 

La poesia è il mio modo di amare, di stare nel mondo nella maniera più autentica. Di arrivare agli altri, di permettere a chi mi legge di specchiarsi in ciò che scrivo. La poesia è visione, materia, fuoco bruciante. La poesia è tutto ciò che so. 

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

Siamo in un periodo in cui si corre continuamente, e nella frenesia dei giorni ci stiamo dimenticando della lentezza. Rieducarsi alla parola significa ritornare alla lentezza, al suo antico significato. La parola ci costringe a fermarci sul foglio, come fa una farfalla su un fiore. Solo fermandoci possiamo ricominciare a sentire il profumo di tutto ciò che ci circonda. 

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

Sono convinta che l’intelligenza artificiale non sostituirà mai il valore della parola poetica, la sua forza. Per scrivere una poesia occorre un’anima, e l’intelligenza artificiale non ce l’ha. Non si può “creare” l’anima. Nessun robot o ciò che non è umano potranno mai scrivere una vera poesia. Saranno soltanto imitazioni senza alcuna autenticità. 

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare? 

Un’opera che mi sta molto a cuore è Storie di vecchie e di pane, una plaquette, un prosimetro in edizione limitata con la prefazione di Davide Rondoni e le tavole di Roberto Pavoni, per le edizioni di Lamberto Fabbri. Un’opera in cui indago la dimensione della “vecchiezza” in tutte le sue sfumature, da quella ironica a quella erotica, e paragono la pelle, la carne dei “vecchi” alla consistenza del pane. 

La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni? 

Certo, la poesia comunica con le nuove generazioni e continua a farlo. Conosco tantissimi giovani poeti che quotidianamente incontrano il valore profondo del verso e ci lavorano con pazienza e passione. 






giovedì 21 novembre 2024

Marthia Carrozzo/Claudio Fabi: Di bellezza non si pecca, eppure (O del corpo che muove prima), Kurumuni Edizioni (2022)


Ogni singola cellula dell'organismo può vibrare. Che sia del cuore o dei polmoni, che sia dei muscoli o della pelle, della parte più nascosta a quella più esposta del nostro corpo, dalla profondità alla superficie, ogni singola orbita di atomo della nostra essenza può vibrare. Ogni singola vibrazione può riprodurre un suono. Seguendo lo stesso percorso, dall'interiorità più segreta che propaga verso l'esterno, ogni suono che passa attraverso le corde vocali, si slancia dalla laringe, rimbalza tra il palato e i denti, viene modulato dalla lingua, facendosi voce, trova la sua essenza più materiale, più sensuale, può trasformarsi in parola. Chi conosce la poesia di Marthia Carrozzo, chi ha avuto la possibilità di leggerla, ma, soprattutto, di ascoltarla, sa quanto può essere musicale il suo modo di verseggiare, più esattamente, è un vero e proprio canto, che coinvolge anima e sensi, insieme. Ogni sillaba una nota, magicamente accostate e incastonate tra loro a comporre la melodia vocale che veicola il verbo. In questo caso un poemetto caratterizzato da una sapiente struttura anaforica. Ogni anafora, ogni iterazione, detta il ritmo e l'ipnotico incanto. Ogni ripetizione, come ogni battito, ogni respiro, è sempre uguale ma sempre diverso, come è sempre diverso il sangue pompato dal cuore in ogni battito, come è sempre diversa l'aria insufflata dai polmoni in ogni respiro. Seguendo questo stesso identico andamento, dalle viscere ai pori della pelle, di cui la sacerdotessa della Poesia conosce ogni linguaggio, ogni pulsione, ogni brivido, ogni effluvio, effonde verso l'estasi dei sensi, l'intreccio dei sensi. Lo stesso effetto, infatti, lo ottiene in chi ascolta: una commozione che sommuove il corpo in un trionfo di sensi. Questa la sfida che si propone e propone l'autrice nel libretto, uscito per Kurumuni Edizioni nel 2022, “Di bellezza non si pecca, eppure (O del corpo che muove prima), che fa parte della collana Camminamenti, di cui è anche direttrice. Attraverso le gesta dell'eroina di Otranto, Idrusa, in una versione riletta e riscritta, riportata sulle sue corde personali preferite, in cui la donna rivendica la gestione del proprio corpo, della propria sessualità libera e tracimante, che sa trovare la corrispondenza dei sensi anche nel conflitto imposto. Un esempio che viene dal passato per ispirare tutte le donne dei nostri giorni. Il poemetto è suddiviso in cinque canti, cinque incandescenti stanze, che poi apre, concedendo le chiavi segrete, al Maestro Claudio Fabi, per un intenso scambio che sarà dialogo e interazione. Il Maestro, in questi ambienti, si trova a suo perfetto agio, perché l'intesa con la padrona di casa è autentica e tocca punte di intimità profondissima; parlano la stessa lingua artistica anche se in forme diverse: la Musica e la Poesia. Fabi riesce a raccontarsi ampiamente, sin dalle sue origini musicali; dall'amore per la classica per poi approdare alla contemporanea, per una scelta intima e anche politica, inevitabilmente coinvolto nell'atmosfera rivoluzionaria degli anni settanta, che stravolgerà tutti i settori delle attività sociali e delle creatività sperimentali. Anni di affinamento della sensibilità artistica che lo hanno visto protagonista in campo internazionale sia come compositore sia come consulente di grandi musicisti. Anche se è bellissimo poi sentire raccontare degli anni passati come direttore artistico dell'etichetta discografica Numero Uno e della sua collaborazione con tutti i più grandi esponenti della canzone italiana. Lungo il racconto si delinea la sua affascinante idea di Arte, di fare musica, che ne esalta tutta la sua umile grandezza. Idea che metterà a disposizione di Marthia Carrozzo per una splendida interazione artistica che, a noi, non resta che leggere o, ancora meglio, ascoltare dal vivo. 


sabato 9 novembre 2024

Piano Piano on the Road (2013)

Per la rubrica: Viva la Musica dal Vivo, la pianista Alessandra Celletti ci racconta di una serie di concerti tenuti in giro per l'Italia come se fosse un unico continuo concerto, nato principalmente da una grande folle idea e dalla volontà di realizzarla. 




Alessandra, l'idea è talmente affascinante che non possiamo non partire dall'inizio, invitandoti calorosamente a raccontarci come e quando è nata questa idea. 

Era l’estate del 2013, e l’Italia si trovava nel pieno di una crisi economica. Nonostante le difficoltà, sentivo il bisogno di trasformare quel momento difficile in una sfida avvincente, un’opportunità di cambiamento. Non avevo nemmeno un concerto in programma, ma il desiderio di suonare per le persone era fortissimo. Così mi venne un’idea un po’ folle: caricare il mio pianoforte su un camion e portare la musica ovunque, attraversando l’Italia e percorrendo tutto lo stivale. Il progetto nacque dal mio desiderio di libertà e dal sogno di suonare per tutti, ovunque. Una raccolta fondi su Musicraiser rese possibile quell'avventura, coprendo interamente le spese e permettendomi perfino di guadagnare qualcosa. Ho scoperto la generosità delle persone e il loro amore per i progetti autentici. Mi sono sentita amata ed ero felicissima. 

Per “suonare ovunque” cosa intendi precisamente? Perché da quello e da come racconti non sembra che tu sia passata da luoghi classici come teatri o arene, o siti istituzionali…

Quell’estate suonai in luoghi incredibili: in riva al mare, immersa nei boschi, tra i sassi di Matera, e persino sulle montagne di Piano Battaglia in Sicilia, dove le mucche, con i loro campanacci, sembravano una piccola orchestra. Gli sguardi sorpresi e felici delle persone resteranno per sempre impressi nel mio cuore. Quella pazzia, alla fine, si trasformò in un successo e divenne anche un documentario: Piano Piano on the Road, prodotto da Primafilm e diretto da Marco Carlucci. Tra coloro che hanno sostenuto il mio viaggio c’era anche il regista francese Patrice Leconte, che scrisse un testo per presentare il progetto; un piccolo "gioiello" di parole che conservo come fosse una preziosa lettera d’amore:

"Conosco bene le composizioni di Alessandra Celletti, questa straordinaria pianista che, quando si siede al pianoforte, si illumina di una luce che la rende ancora più bella. Mi ha raccontato del suo progetto un po' folle, ma appassionante e originale: portare la musica in lungo e in largo, sedurre le persone lungo i chilometri. La immagino seduta al suo pianoforte, a bordo di un grande camion, avvolta dalla luce del tramonto, mentre le stelle cominciano a disegnare il cielo blu marino. Lei si lascia andare alle melodie più dolci, come un'immagine sognante di un film di Fellini."

Condivido pienamente il pensiero di Patrice Leconte e trovo di una generosità e genialità uniche l'idea di portare la musica tra la gente che abitualmente non ha la possibilità di frequentare i luoghi adibiti alla divulgazione della cultura. Cosa ti ha lasciato dentro questa esperienza? 

Quell’estate ha rappresentato una delle avventure più magiche della mia vita, un sogno realizzato grazie al potere della musica e alla forza dell'immaginazione. 









domenica 3 novembre 2024

Stefania Giammillaro: Errata Complice (peQuod Edizioni, 2024)



Quante corazze si devono indossare per affrontare la vita? Questa è la domanda che sembra serpeggiare insinuante tra le strofe di Stefania Giammillaro, senza che l'autrice stessa se ne accorga, o che consapevolmente voglia eludere, perché sa già la risposta. Sono infinite. Una per ogni singola stagione della vita e nessuna mai calza a pennello, lascia sempre qualcosa di scoperto e di estremamente vulnerabile. Anche se ci volesse abbracciare da soli, come ennesimo atto di protezione e benevolenza personale, sfuggirebbe, in ogni caso, qualcosa.  Cosi incede danzando, con leggerezza tragica, l'andamento delle liriche. Con lo stesso passo che avrebbe un’autrice allenata ai movimenti tersicorei, abituata a portarsi addosso pesi più grandi di lei. Le ingombranti corazze, appunto. La danza, si sa, prevede sudore e fatica. Durante una piroetta, durante un volteggio, si può sudare e si può sanguinare. Questo gruppo di strofe assomiglia a grumi di sangue e sudore sfuggiti all'autrice impegnata nel vitale slancio che procura piacere e dolore allo stesso tempo. Nuclei che fanno parte dell'essenza più profonda. Le parole di cui sono composti questi grumi si fondono chimicamente, per magiche leggi della fisica, quasi casualmente, in una casualità armonica scolpita nel marmo amorfo del caos. Si perde il senso ordinario, per trovare altri sensi, aprire varchi. Ogni combinazione di parole, è un varco, una ferita, una fessura, una crepa di luce, che supera la linea di confine dei significati. Per sentire sgranare e fuggire dalle mani il tangibile e rivestire di nuova sensualità l'inafferrabile. Polpa vibrante distillata chirurgicamente agli alambicchi della saggezza e della passione. Con quella saggezza che prevede il mettersi in gioco generosamente con tutta se stessa. La saggezza sfibrata che non può che esteriorizzare la guerra interiore. E interiorizzare le guerre esteriori. Le parole si allineano autonomamente in versi che trovano la loro intima metrica, senza punteggiatura, perché hanno una loro musicalità interiore, la stessa musicalità che può offrire un'anima nuda. Come se ogni virgola, ogni punto, fosse un inutile orpello che pone ulteriori ostacoli. Invece si sente prepotente l'esigenza di lasciare per strada ogni velo e mostrarsi finalmente in tutta la accecante purezza, che scava nel vuoto più assoluto, sviscera la solitudine più feroce. Anche se si dovesse incorrere in degli errori, non sarebbero semplici sbagli, o abbagli, sarebbero alleati in grado di illuminare l’errare, sarebbero complici, come vuole il titolo dell'opera. I grumi espulsi spargono tracce di esperienze vissute in cui si mescolano il passato e il presente, i sogni e gli incubi, il rapporto con se stessi e con Dio, che poi a volte è la stessa cosa, e quindi irrisolto, anche quando sembra arrivare la soluzione, irrisolvibile. Le gioie e i traumi, come, soprattutto, quello di un amore, che purtroppo a volte si può rivelare tossico, in grado di avvelenare una parte dell'esistenza e portarla a derive decisamente insane, fino all'annientamento. Fino a scarnificare le radici più profonde, quelle deĺle origini isolane. Il dialetto siciliano, così, riemerge come lingua principale, in filastrocca, che, l’autrice tornata bambina, canta a se stessa, per permette alle tracce di coagularsi in un percorso trascendente che implica, peccato, colpa e perdono. Perché si può perdonare il peccato e la colpa. Si può perdonare se stessi, errando, danzando. Santificando il peccato e la colpa.




domenica 27 ottobre 2024

Bud Powell: La gioia tra le dita

Per la rubrica: Archeologia musicale, la storia del musicista che, con il pianoforte, riusciva a raggiungere Charlie Parker nei suoi voli di note. 



Probabilmente uno dei momenti più importanti della sua carriera Bud Powell lo tocca nel 1947 quando Charlie Parker lo chiama a far parte della sua orchestra, nel pirotecnico quintetto che dà vita al progetto Charlie Parker All Stars, che vede tra gli altri Miles Davis alla tromba e Max Roach (vedi sotto) alla batteria. Il destino mette insieme quella che probabilmente è la staffetta più importante del bebop. Parker e il suo sax e Powell che con il piano riesce a fare quello che Parker fa con il suo strumento. Bud, è il nomignolo di Earl Rudolph, nato e cresciuto in una famiglia di musicisti; sviluppa affinità per il pianoforte fin da bambino, sullo strumento studia e si esercita a lungo su un repertorio classico, ma la scintilla che fa scattare l'innamoramento la percepisce con l'ascolto dei brani di James P. Johnson (vedi sotto) e Art Tatum. Bud si porta dentro lo stile stride, lo metabolizza nel profondo e poi, quando finalmente lo sente suo, lo rivoluziona. Raggiunge una tecnica grazie alla quale riesce a svincolare le mani da qualsiasi fissità o riferimento. Entrambe le mani hanno la libertà di fare da armonizzazione o improvvisazione melodica con arabeschi di fraseggi eseguiti ad altissima velocità. Grazie a questa tecnica riesce a riprodurre con il piano gli assoli volteggianti che Bird improvvisava con la tromba. Le dita planano leggere sulla tastiera del piano, sfiorano i tasti sulle punte dei polpastrelli, non sembrano nemmeno premerli, ma ogni tasto premuto, ogni nota spremuta, sprizza gioia musicale, gioia per chi ascolta, gioia per chi suona. Una gioia che aveva dentro anche se costretta a convivere con il malessere psichico. Una sorta di schizofrenia incurabile per quei tempi. Una notte del 1945, alla fine di un concerto tenuto con il suo mentore Thelonious Monk, vagabondava per strada insieme a lui, tutti e due ubriachi, per smaltire l'adrenalina e coccolare la creatività. Vennero arrestati per bivacco, ma forse soltanto perché neri e sbronzi, da un corpo di una polizia privata e con l'occasione pestati di botte; I forti colpi ricevuti alla testa contribuirono notevolmente ad acuire la sua patologia. Da quella notte Bud iniziò a soffrire di fortissime emicranie, di amnesie, di disturbi del comportamento, che non riusciva a tenere a bada con nessuna medicina, neanche con potenti psicofarmaci. L'unico momentaneo e illusorio sollievo lo forniva l'alcool o la Marijuana. In più di un'occasione negli anni è stato ricoverato per svariati mesi in cliniche, o arrestato per possesso di sostanze e sottoposto a quella che credevano la migliore cura in quel periodo, la terapia elettroconvulsiva. L'elettroshock, ovviamente, non migliorava affatto la sua salute, anzi ne minava ancora di più le condizioni fisiche. Nonostante la malattia e i ricoveri, per tutti gli anni cinquanta ha tenuto concerti memorabili, ha suonato con i più grandi musicisti del periodo e composto alcuni dei brani più belli che il Jazz possa vantare. Pezzi come Dance Of The Infidels o Un Poco Loco, Tempus Fugue It o Bouncing With Bud, trasportano la sua gioia musicale fino a noi oggi. Nel 1959 decide di rimettersi in sesto fisicamente e si allontana dal suo ambiente trasferendosi a Parigi. dove vive un barlume di temporaneo benessere. Suona in Jam Sassion con Kenny Clarke e Pierre Michelott e dal vivo riesce ancora a sprigionare tutto il suo talento. Il fisico indebolito, però, non ha più le difese necessarie a respingere gli attacchi esterni. Contrae la tubercolosi e la dipendenza dall'alcool lo abbatte ancora di più. Negli ultimi anni si lascia andare, perde quasi la vista, non riesce più ad affrontare i sintomi sempre più gravi della sua malattia. Muore all'età di quarantuno anni alla totale deriva. Se un pizzico di quella gioia che trasmetteva con la sua musica, oltre che provarla mentre la eseguiva, la avesse conservata per sé e per la sua vita, probabilmente sarebbe stata meno tormentata e più lunga, ma non possiamo intrometterci tra quello che la Musica dà e toglie, e dobbiamo ritenerci fortunati se ci ha dato la possibilità di ascoltare ancora e per sempre il talento gioioso di Bud Powell.



MAX ROACH:

JAMES P. JOHNSON:







domenica 20 ottobre 2024

Concerto al Central Pub di Montecosaro (Mc) - 4 luglio 2024

Per la rubrica: Viva la Musica dal Vivo,  Filippo Marangoni ci racconta l'emozione di portare, il progetto appena partorito, davanti al pubblico,  con i Flamingo. 



Dopo tantissimi anni di esperienza sui palchi di tutta la penisola suonando blues e rock blues (cover e tributi etc) ho finalmente dato impulso all'esigenza interiore di raccontare qualcosa di personale, che comprendesse le mie esperienze ed influenze raccolte nel corso della vita. La Band si chiama Flamingo, abbiamo realizzato un album blues oriented di 11 brani inediti ed ho iniziato quest'avventura componendo in solitudine linee melodiche e progressioni armoniche con il mio strumento, la chitarra. L'emozione più grande è stata poi quella di condividere le mie "bozze" con altri musicisti della Band, i quali hanno via via apportato il loro contributo ed insieme, con impegno e sacrificio abbiamo visto crescere e prendere forma a delle semplici idee che sono diventate canzoni. Un'altro fondamentale passaggio è stato quello di provare effettivamente in Studio con tutti i musicisti l'esecuzione di queste nuove canzoni ed è stata davvero una bella emozione per me che le ho concepite integralmente, quella di veder realizzare una realtà (musicale) partendo da una semplice intuizione. 



In questo periodo storico un album blues oriented mi fa pensare ad atmosfere da pub, in cui la gente vuole il contatto diretto con i musicisti, sorseggiando una birra, e se la proposta non è coinvolgente si avverte subito che qualcosa non va. Immagino l'emozione e la tensione…

L'emozione prima del primo concerto di presentazione dell'Album era palpabile… quello stato emozionale che è un mix di adrenalina e preoccupazione, il momento cruciale in cui bisognava salire sul palco e mettersi completamente in gioco, suonando la propria musica e sperando che la reazione del pubblico fosse positiva. Tenendo conto del fatto che il pubblico più vasto non aveva mai ascoltato i brani del disco per cui la curiosità da un lato e la preoccupazione dall'altro erano massime. Rotto il ghiaccio con l'esecuzione del primo brano in scaletta, tutto è andato se vogliamo "in discesa", abbiamo iniziato a suonare tutti più sciolti ed improvvisare sulle strutture armoniche dei nostri brani con maggiore libertà, e mentre il concerto proseguiva cresceva via via di intensità e ciò generava un maggiore coinvolgimento del pubblico. 

E questo entusiasmo avrà avuto un effetto positivo anche su di voi che vi stavate esibendo…

Sentire gli applausi, e l'apprezzamento spontaneo e manifesto della gente è stata davvero un'emozione molto bella, che ci ha ripagato del grande impegno trasfuso nel progetto, delle nottate trascorse ad arrangiare, provare e di nuovo rivedere il lavoro per cercare di migliorarlo, e che ci ha dato lo stimolo a proseguire sulla strada intrapresa sempre con maggiore entusiasmo e forza d'animo, pur sapendo quante difficoltà incontra una band di musica originale inedita.

Cosa vi ha lasciato dentro un'emozione del genere?

L'aver quindi registrato un Album e portato dinanzi al pubblico nei live la nostra musica è stata la conclusione di un percorso che ha visto apprezzare anche all'esterno ciò che era stato creato, mettendosi in gioco. Tutte emozioni positive che premiano l'impegno ed il sacrificio che c'è dietro un lavoro del genere. Il tutto può sintetizzarsi nel potere che la musica ha di unire una band nell'obbiettivo comune di fare musica con il cuore, e dell'insegnamento che deve trarsi, ovvero che è sempre importante credere in se stessi e non aver paura di esporsi, naturalmente se si è consapevoli di aver dato il meglio, il valore del sacrificio in fondo. 









sabato 12 ottobre 2024

Uno strumento per arrivare all’Altro

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Cristina Simoncini sulla possibilità ancora fondamentale della condivisione attraverso la comunicazione. 


Nata a San Giovanni Valdarno (Arezzo) il 10 marzo del 1966, Cristina Simoncini è rimasta a lungo solo lettrice prima di cominciare a scrivere. Ha pubblicato poesie su riviste cartacee (Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, Nova Rivista d’arte e di scienza) e su molti spazi virtuali (fra i quali Avamposto, Limina Mundi, La rosa in più, Circolare poesia eccetera). Sta lavorando alla sua prima opera poetica.

Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione? 

L’ho apprezzata da sempre, da bambina, a scuola, dove si imparavano a memoria, o recitandole con mia madre, e poi alle Superiori e all’Università, con consapevolezza maggiore. Solo da una decina d’anni a questa parte però la leggo e studio con regolarità e grande passione, e ho iniziato a scrivere.

Che rapporto hai con la poesia? 

Buono direi, fatto di passione, di attenzione e di cura. La poesia non è comunque la mia vita, non coincide con essa. Nessuna esasperazione, partecipazione a tutti i costi, eccetera. Mi piace essere letta da persone comuni, quello sì. 

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

Per me la parola è uno strumento per arrivare all’Altro, persone e realtà soprattutto, memoria, esperienze significative condivisibili. Conta molto se produce cura dell’Altro, quindi, anche attraverso procedimenti di immedesimazione. L’abuso è nel farla diventare strumento di uso dell’Altro, in più sensi. Un lavoro attento sulla parola produce consapevolezza e attenzione, è fondamentale. In ogni campo credo, non solo in poesia.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

Con lo studio, con la padronanza dei mezzi e della tecnologia, con la passione, con il rimanere ancorati alla realtà, alla concretezza. 

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare? 

Non ho opere mie pubblicate se non su riviste, se è questo che intendi. Sulle singole poesie è difficile da dire. Ma ci sono molte opere degli altri in cui mi riconosco e che sento mie, dai romanzi di Faulkner a quelli di Onetti alle poesie di Mark Strand o di Seamus Heaney. In quello che ho scritto sino a oggi, avendo una componente autobiografica forte, mi riconosco sicuramente. È la mia esperienza della realtà e degli altri, il modo in cui ne sono stata attraversata.

La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni? 

Sì, credo che le nuove generazioni avranno la loro poesia, con cui comunicare, in un modo che solo loro, protagonisti del tempo che verrà, sanno. Magari molto diverso dal nostro, dato che si confrontano con uno sviluppo dei mezzi di comunicazione così variegato e complesso.









domenica 29 settembre 2024

Max Roach: l’evoluzione della batteria

Per la rubrica: Archeologia musicale, il momento esatto in cui la batteria da strumento di accompagnamento si trasforma in strumento principale, nella scena jazz degli anni quaranta e cinquanta. 


La bacchetta come prolungamento delle dita, delle mani, come proiezione del ritmo cardiaco. La superficie del tamburo come pelle dell’amore che risponde alle percussioni con i battiti… e percuote, batte…. e pulsa, galoppa… parla una nuova lingua. Oltre quella conosciuta del quattro quarti che accompagna ritmicamente gli altri strumenti, adesso dialoga, sviluppa melodia, si lancia in lunghi assoli affidati all’improvvisazione… e percuote, batte… e pulsa, galoppa… e sconquassa la cassa. Accelera la frequenza di precipitazioni torrenziali e poi… lo scroscio della pace che sta per arrivare. Tra i primi percussionisti a sviluppare il linguaggio della batteria, senza dimenticare il sorridente virtuoso e snodato Gene Krupa che, nell’orchestra di Benny Goodman, rivaleggiava in assolo con gli altri musicisti, possiamo ammirare lo stile del veterano Kenny Clark (Klook, per gli amici), inventore della tecnica che sposta la tenuta del ritmo dal rullante, o dalla gran cassa, al piatto ride. Nello stesso periodo Charlie Parker e Dizzy Gillespie allargano le prospettive di improvvisazione dei vari strumenti dando vita al nuovo filone del Jazz, denominato Be Bop. Di qualche anno più giovane, entra a respirare quell’aria così creativa dei locali della Grande Mela, il talentuoso Max Roach. Seppur giovanissimo ha già avuto un’esperienza formativa nell’orchestra di Duke Ellington. Tutti si sono accorti della sua tecnica personale e del tutto rivoluzionaria nell’approccio alla batteria. Non c’è soltanto il timpano, anche il rullante può brontolare melodie percussive e dialogare con la gran cassa e i piatti, dal ride al Charleston. Che poi, fosse per lui, basterebbe uno soltanto di questi elementi per fare musica. Qualsiasi cosa possa risuonare, tra le sue mani è uno strumento nobile, anche il coperchio di una pentola. Max accorda personalmente i suoi tamburi, stirando le pelli in base alle sue esigenze e inventandone anche nuove di accordature. Riempie la gran cassa con materiali di ogni tipo per sincopare e rimbombare il suono. La sintonia e l’amicizia con Charlie Parker gli permettono di sperimentare in ogni situazione, così, negli anni in cui le truppe americane sono impegnate nel secondo conflitto mondiale, loro si impegnano a cambiare i canoni musicali. Nel 1945, infatti, in una delle improvvisazioni più accese, registrano Ko Ko, in cui si può apprezzare uno dei primi assolo della batteria nella sua totalità, svolta epocale per il genere Jazz. Non c’è grande musicista che non abbia collaborato con lui in quel periodo; a me piace ricordare Bud Powell e Lester Young (vedi sotto), ma faccio un torto a tutti gli altri non meno immensi. Il desiderio incontenibile di sperimentare nuove sonorità lo spinge a formare dei quintetti in cui lascia ancora maggiore libertà ai solisti, in qualche caso senza il sostegno del pianoforte. Per recuperare alcune armonie delle radici musicali e per svilupparle ulteriormente, spianando la strada all’hard Bop. La sensibilità artistica in Max Roach corrisponde a quella umana e non può rimanere impassibile difronte alle problematiche sociali e la rivendicazione dei diritti che, sul finire degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta, divampano in manifestazioni sempre più violente. Nel 1960 compone “We Insist! – Freedom Now Suite” (che al solo nominarlo mi vengono i brividi), un capolavoro ascrivibile al filone del Free Jazz. Commissionato dalla Associazione Nazionale per i Diritti delle Persone di Colore e con i testi del poeta e cantante Oscar Brown. Il genio di Max realizza cinque brani collegati fra di loro in una suite, che racconta l’epopea degli afroamericani, dalla schiavitù all’emancipazione. Alla voce, la sua futura moglie, la stellare Abbey Lincoln, eccezionale nell’esaltare la straziante lacerazione delle violenze subite e la grande voglia di combattere per la pace e poi, finalmente la pace raggiunta. Per registrare Max si circonda dei migliori musicisti del periodo tra cui Coleman Hawkins al sassofono. La suite si conclude con Tears for Johannesburg, un tributo solidale alle popolazioni sudafricane oppresse con Michael Olatunij alle congas. L’esplicito contenuto provocatorio del disco, a partire dalla copertina, che ritrae tre afroamericani in un locale per bianchi, disturba gli alti grandi delle istituzioni e rende difficile la vita artistica di Max che trova sempre più difficoltà ad entrare in sala d’incisione ma, la sua tenacia, lo porta a registrare comunque altri fondamentali album per l’evoluzione della batteria come “Percussion Bitter Sweet” del 1961 e “Drums Unlimited” del 1966. Dopo le turbolenze degli anni sessanta la sua carriera decolla in maniera stabile allargando la sua fama a livello mondiale; sono importanti anche le registrazioni e i concerti tenuti in Italia, uno dei posti al mondo che lo ha accolto con maggiore calore negli anni settanta, infiammando la scena Jazz nostrana di quel periodo. Ha collaborato fino alla fine della sua lunga vita, avvenuta nel 2007, con i più grandi batteristi, incidendo album per sola batteria come “M’Boom” del 1979 e “Collage” del 1984. Ha contribuito a lanciare artisti che hanno segnato la storia del Jazz tra cui, Stanley Turrentine, Bill Lee e Art Davis. Le sue incisioni sono infinite e quasi impossibili da catalogare. Ha insegnato come docente dell’università del Massachusetts e tutti i suoi studenti sanno che non ci sono limiti, in ogni strumento bisogna mettere la propria passione, la propria tecnica e l’impegno assiduo, soltanto così si può liberare l’anima di un suono. Librarla in aria per trasformarla in emozione. 







Lester Young: 

http://gabrieleperitore.blogspot.com/2024/01/lester-young-serenata-per-billie-holiday.html
 






domenica 22 settembre 2024

Concerto al Parco della Caffarella - 7 settembre 2024

Per la rubrica: Viva la Musica dal Vivo, raccolgo il racconto pulsante della musicista Marta La Noce, del suo ultimo concerto a Roma, insieme a Cecilia Lavatore, che ha toccato tematiche davvero fondamentali, anche, e, purtroppo, soprattutto, in questo periodo storico. 


Marta La Noce, è una cantautrice. La sua musica dalle sonorità electro-pop, è caratterizzata da una voce potente e ricca di sfumature. Il 26 aprile 2022 pubblica il singolo "Libera" prodotta da Matteo Gabbianelli per la kuTso Noise Home (distribuita da Artist Frist). Nel luglio 2022 vince "Radio Sonica Live Show". Il 28 ottobre 2022 apre per Rocco Hunt al "Latina Music Festival", nell'agosto 2023 vince il "Meeting Music Contest" scelta da Morgan fra centinaia di partecipanti. Il 30 settembre 2023 vince il "Dinamica Contest", vittoria che la porterà ad intraprendere un tour nei club del nord Italia nel 2024. A dicembre 2023 è in scena a Teatro Trastevere con la pièce “Libera” di Cecilia Lavatore, scrittrice ed editorialista per il Messaggero. Nel 2023/ 24 appare più volte nel programma di Fiorello "Viva rai 2". Il 19 Marzo 2024 è ospite nel programma radiofonico “sogni di gloria” in onda su radio2.

Ho il piacere di condividere il racconto di Marta La Noce, della sua esibizione che si è tenuta nell'ambito della manifestazione Poetry Vilage a Roma, pochi giorni fa. 


Il 7 settembre, nel cuore verde del Parco della Caffarella, abbiamo vissuto una serata sospesa nel tempo. Insieme a Cecilia Lavatore, ho avuto l'onore di aprire per Cristiano Godano, la voce e l'anima dei Marlene Kuntz. Un palco che ci ha accolto con la sua energia antica e nuova, con il pubblico in ascolto attento, pronto a ricevere il nostro racconto.


Conosco bene il parco, conserva ancora un'atmosfera incantata, in cui si respira tutta la storia pregna di mito. È uno dei pochi posti in cui si possono ammirare ancora le lucciole, e immagino che il pubblico sia stato altrettanto entusiasta, invogliato dalla vostra proposta. 


Abbiamo portato in scena "Libera", uno spettacolo che è nato senza che lo sapessimo, da canzoni e monologhi creati in momenti diversi, in vite separate. Le mie canzoni, nate dal mio vissuto, e le parole di Cecilia, figlie di riflessioni profonde e storie di donne straordinarie, hanno trovato un filo invisibile che le ha legate insieme. Come se, in qualche modo, il destino avesse deciso che queste storie dovessero incontrarsi.

Sul palco, le nostre voci si sono fuse per raccontare di donne che hanno lottato, che non si sono piegate di fronte alle difficoltà. C'era la forza delle rivoluzioni, piccole e grandi, personali e collettive, che attraversano le vite di tutte noi. E in quella sera così intensa, sotto il cielo aperto, abbiamo condiviso qualcosa di più della musica o delle parole: abbiamo condiviso la nostra verità. 


E a voi, invece, intimamente, cosa vi ha lasciato dentro questa notte di scambio così intenso? 


Questa notte, tra gli sguardi attenti e l'ascolto profondo, il nostro spettacolo è diventato vita, emozione pura. È stata una serata che porterò dentro per sempre, grata per la connessione sincera  che si è creata tra noi e chi ci ascoltava, nel fluire di note e versi.










domenica 15 settembre 2024

Tutto può partorire un verso

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Selene Pascasi sulla possibilità di conoscere e conoscersi meglio, provocare cambiamenti, attraverso le domande che soltanto la Poesia può porre.



Selene Pascasi, avvocato per un ventennio e oggi funzionario tributario, è giornalista, firma del Sole 24 Ore con all'attivo migliaia di pubblicazioni, critico musicale al Lunezia. Autrice di una monografia per Giappichelli, un lavoro criminologico per l'Accademia Americana di Scienze Forensi, 5 raccolte poetiche, 3 aforismari e 2 romanzi, vince molti Premi letterari. È ora in libreria con il romanzo Dimmi che esisto sulla violenza contro le donne (Chiocciola) e la silloge Un tempo minimo (Eretica) 

Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?

Da sempre. La scrittura è cresciuta con me, quello con la poesia è un legame innato. Ho scritto versi fin da bambina quando annotavo su fogli sparsi i miei pensieri che, sebbene acerbi, erano comunque espressioni dei miei stati d’animo. Un groviglio di emozioni che mi vivevano dentro e che, pian piano, mi chiedevano forma e inchiostro. Così, vinta la barriera delle fragilità e del pudore, da adulta ho trovato il coraggio di mettermi a nudo con i lettori e pubblicare.

Che rapporto hai con la poesia?

Viscerale e inevitabile, perché non potrei fare a meno di scrivere. Ma la poesia per me non è solo nero su carta. È anche un modo speciale di guardare il mondo, percepirne ogni sfumatura, ogni dolore, ogni odore. Da un soffio di vento, da un profumo, dal pianto di un bimbo, dal sorriso sdentato di un vecchio, da un amore finito, da un sogno sospeso, da una promessa mancata e persino dal silenzio… tutto può partorire un verso. E poi grazie alla poesia riesco ad astrarmi da me stessa e osservarmi vivere e così conoscermi meglio.

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

Conta tantissimo in ogni periodo storico ma nel momento in cui viviamo conta molto di più perché si stanno perdendo punti di riferimento, la dignità sta lasciando il posto all’apparenza e la fedeltà alle coscienze rischia di diventare un optional. Ecco che la poesia può scrivere mille inizi, può risvegliare dall’apatia del vivere, può scuotere dall’anestesia del pensiero. E sai perché? Perché la Poesia sollecita le domande prima che le risposte, non ha scadenza e regala emozioni diverse ad ogni lettura. La Poesia è uno spiraglio di eterno che dovremmo imparare ad amare con tutti i sensi.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

Non può, o meglio, è la parola dell’intelligenza artificiale che non può competere con quella umana. La nota AI è in grado di scrivere la poesia perfetta, rispettosa dei canoni imposti e talora anche abbastanza credibile. Ma mai e poi mai, la parola dell’intelligenza artificiale potrà veicolare l’animo e trascinarlo verso il lettore tanto da tatuargli addosso indelebili emozioni. Potrà donargli svago, sorrisi, ma sono sicura che non gli inietterà mai dentro quella sensazione di salvezza che solo la poesia umana è in grado di instillargli nel cuore.

Qual è la tua opera (o le tue opere) in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?

Tra le opere poetiche, la raccolta A un ricordo da te (Scrivere Poesia) perché si forma lentamente negli anni in cui ho assistito mio padre Silvio purtroppo volato via. Un periodo di simbiosi con lui in cui l’ho amato stringendo ogni istante consapevole che potesse essere l’ultimo. E prendersi cura di chi sprofonda (scrivo in Genesi “come quando si muore da vivi” / “come quando si vive da morti”) è un patto di lucidità con se stessi arduo da onorare. In narrativa, invece, tengo molto al romanzo d’esordio Dimmi che esisto – ripubblicato da Chiocchiola – perché tratta della violenza di genere. L’intento è di esortare le vittime di abusi a non sentirsi mai responsabili della brutalità maschile e non cercare a tutti i costi, fino a rischiare la vita, di mantenere in piedi un rapporto tossico pur di non restare da sole.

La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?

Può e deve farlo. Un Poeta ha l’obbligo morale di rivolgersi ai giovani, di sollecitarli a reagire, a riflettere, a tornare padroni delle proprie vite, a liberarsi dalla schiavitù del web, dei social e del cellulare che spegne la loro creatività. E poi la poesia è terapeutica perché aiuta a scovare i mostri che ci portiamo dentro, a farci pace e trarne la forza per rinascere. Insomma, la poesia è uno strumento dotato di una forza pazzesca, rivoluzionaria e salvifica.