Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Antonella Caggiano, sulla capacità della poesia di imprimere una direzione nell'inquietudine, far tremare dall'emozione scavando in profondità, porre le basi per l'ascolto.
Antonella Caggiano vive a Pescara dal 2016, dove insegna materie letterarie. Ha collaborato a <<Il Roma>> e <<Il giornale di Napoli>>, divenendo giornalista pubblicista. Ha pubblicato: Estensioni, Galzerano editore,1990; Cronaca di uno zen annunciato, Albatros, 2010; Dolce di sale, con prefazione di Dante Maffia, Costa edizioni, maggio 2022; La vena delle viole, con nota, in quarta di copertina, di Davide Rondoni, Carta Canta editore, novembre 2023; Il ricordo perfetto, tradotto in romeno, Cosmopoli, Eikon Editori, 2025, il saggio Sassi di parole, Edizione Mondo nuovo, 2025. Le opere sono state accolte positivamente dalla critica. Molte poesie sono state tradotte in diverse lingue. Ha ottenuto importanti riconoscimenti in molti premi letterari. È giurata di premi letterari. È organizzatrice di eventi culturali. È membro dell’Accademia Internazionale “Mihai Eminescu”. Ha partecipato a diversi Festival internazionali della poesia. Collabora con riviste letterarie on line. Alcuni suoi testi sono presenti in antologie, fra le altre in: <<‘900 e oltre>> a cura di Roberto Pasanise e Gerardo Salvadori, introdotta da Pompeo Giannantonio, della facoltà di Lettere di Napoli; nella rivista <<Poeti e Poesia>>, curata da Elio Pecora.
Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?
Avevo undici anni quando ho avvertito l’intuizione della scrittura poetica. La prima volta è arrivata prepotente e improvvisa, in un’occasione familiare un po’ malinconica. Ne ricordo ancora esattamente la penombra e il suono delle voci come in uno sfondo da film. Non mi sono posta domande circa l’importanza, la vivo come forma linguistica che più di altre è congruente col mio sentire, cucendo su misura le visioni, le musiche. Il mio percepire è evocazione di parole che mi trastullano e mi fanno alzare di notte. La parola non è mai esatta, è sempre un cammino in fieri. La parola inquieta è quella che orienta la direzione.
Che rapporto hai con la poesia?
È un bene ed un male necessari.
Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?
La poesia è atto di ribellione. Sempre lo è stato. Non segue le mode, ma ad esse si contrappone e le contraddice. È, anzi, anticipazione dei tempi. È intuizione che va affiancata alla conoscenza dei grandi poeti e poetesse che hanno creato e sperimentato. Su questa strada occorre proseguire, coltivando lo studio della parola in un sapiente gioco linguistico in cui si rivela la vera essenza umana in un’armonia dell’unicità nella diversità. Laddove la velocità della rete annichilisce e aliena, attraverso un linguaggio banalizzato e semplificato, la poesia rallenta, induce alla riflessione e umanizza.
Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale? Sapresti riconoscere uno scritto artificiale da uno umano?
L'argomento è centrale nel dibattito contemporaneo su linguaggio, tecnologia e creatività. Va affrontato su due piani: interazione e competizione, e poi riconoscibilità. La poesia è mistero e il mistero getta la sua ombra nello spazio che esiste tra percezione ed espressione. In quello spazio la parola poetica è balbuziente, riflettendo l’imperfezione dell’uomo che, pur anelando all’infinito, sente e cade. Il sangue e la carne appartengono all’uomo. Le emozioni nascono dal corpo e sono parte di un’esperienza, un vissuto. Invece, le espressioni poetiche riprodotte dall’Intelligenza artificiale sono molto lineari, talvolta ripetitive e non vi si percepisce il trauma o la profondità autentica. L’IA, per quanto sofisticata, non sente. Questo limite è anche il suo tratto distintivo. Può emulare, ma non esperire. Tuttavia la parola umana e quella artificiale possono essere complementari. Utile si può rivelare l’IA nella ricerca, nell’offrire spunti, idee, tradurre, riassumere. In merito alla competizione, invece, l’IA ha superato di gran lunga l’umano per la velocità e l’efficienza. Non è una scoperta recente l’Intelligenza Artificiale. Anticipando quasi di sessant’anni, Primo Levi racconta l’attuale ChatGPT quando pubblica, con lo pseudonimo di Damiano Malabaila, la raccolta di racconti di fantascienza Storie Naturali. In essa il racconto Il Versificatore è anche un macchinario acquistato da un poeta per velocizzare la sua scrittura poetica, così da accontentare la sua clientela. Ancora una volta l’intuizione arriva prima della scienza. l’IA è stata creata dall’uomo, ma non può certamente sostituirlo. L’uomo resta l’unico a poter sanguinare di parola. L’IA può imitare ma non tremare.
Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?
Solitamente è l’ultima. La vena delle viole è l’opera nella quale ritrovo il seme di intuizioni che hanno caratterizzato un lungo percorso. Il labor limae faticoso, durato anni, è segno di un anelito verso la ricerca della parola che incarni il più possibile con onestà quel sentire originario. È una silloge che mi ha richiesto tante energie per venire alla luce e che ha i miei colori. Ma la poesia è ricerca continua. Dunque l’opera che ancora non ho scritto è forse quella in cui maggiormente mi riconosco.
La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?
Quando a scuola si parla di poesia, l’interesse è alto. E pure la tensione. Bisogna prestare molta attenzione a come si comunica con gli adolescenti e a come si voglia trasmettere la parola poetica. Evitare che la poesia diventi meramente scolastica, assunta come compito, è prioritario. La poesia proposta come slancio in un linguaggio nuovo e come ascolto, crea em-patia, gancio per arrivare all’altro e a se stessi. Al termine di uno dei laboratori di poesia che normalmente conduco in classe, chiesi ai miei alunni di dire in poesia come si sentissero. Il più indisciplinato e disinteressato alle lezioni alzò la mano: “Mi sento una margherita calpestata” quasi urlò. Mi chiarì con poche parole quanto per anni non ero riuscita a comprendere. Il problema dei nostri giovani è che sono molto soli. Hanno bisogno di ascolto e di sentirsi liberi di esprimere emozioni.