domenica 1 giugno 2025

Immagine, musica, filosofia

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Alessandra Iannotta sui valori fondamentali della poesia e quello più fondamentale in assoluto, inseminare tutti gli organi. 



Alessandra Iannotta è nata a Roma nel 1965. Da oltre 25 anni esercita nella Capitale la professione di avvocato civilista. Ha partecipato a vari concorsi nazionali ed internazionali di poesia e di narrativa ricevendo premi, menzioni speciali e riconoscimenti vari. Ha pubblicato, nel 2015, un libro di poesie in prosa, dal titolo “Sangria al Grippiale” (Ed.Dante Alighieri). Nel giugno 2019, il suo primo romanzo dal titolo “Gli occhi di Asha” (Kanaga Edizioni). Nel novembre 2019, il romanzo è stato premiato, come premio speciale “Milano Donna”; un estratto del primo capitolo è stato pubblicato su Rai Letteratura. Nel novembre 2020, ha pubblicato la silloge poetica “Panni al vento” (Ed. L’Erudita). Nel luglio 2022 ha pubblicato una silloge di 138 poesie, dal titolo “Come panni al vento” (Nino Bozzi Editore – Gruppo CTL Editore). Ha avuto modo di sperimentare che la poesia, abbracciata alla musica, può aiutare ad accrescere la bellezza di entrambe le suddette forme artistiche, recitando le sue poesie: -accanto al Maestro, Alessandro Vena, pianista di fama internazionale, presso l’Auditorium San Domenico di Foligno; -accanto al Maestro Martin Palmeri, compositore argentino di fama internazionale, presso il teatro Greco di Roma; -accanto al Maestro Luca Fialdini a Forte dei Marmi, presso Villa Bertelli.

Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?

Ho amato la poesia fin da bambina, ne scrivo da sempre, ma ho sentito la voglia irrefrenabile di condividere questa mia grande passione solo nel 2015 quando, dopo aver superato un anno difficile, sono stata invitata ad una serata di letture di poesie… quella sera stessa, rientrata a casa, sulle note di Beethoven, ho scritto una poesia intitolata “Vita” ed ho deciso che questa volta, avrei iniziato a condividere con gli altri la mia passione!

Che rapporto hai con la poesia? 

Credo in una poesia non filtrata dalle gabbie della mente, non costruita a tavolino, non imbrigliata in regole stilistiche, capace di raggiungere il cuore di tutti perché capace di catturare la meraviglia che ci circonda, la parte più autentica che abita l’uomo. Credo che la poesia, capace di abbracciare molteplici declinazioni di creatività, sia la più alta espressione artistica. Per me, infatti, la poesia è, prima di tutto, immagine, qualcosa che cattura il mio occhio, ma che, nel contempo, va oltre il mondo visibile, lì c’è il brivido della poesia, il poeta, quindi, è un po’ un pittore che dipinge con la penna; la poesia è, poi, musica perché le parole devono avere un ritmo, il poeta, quindi, è anche un po’ un musicista; infine, e lì, a mio avviso, siede il cuore della poesia, c’è nel linguaggio poetico un messaggio che eleva l’uomo e, quindi, il poeta è anche un po’ un filosofo capace di far riflettere il lettore, non con la testa, ma con il cuore.

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

Sono certa che oggi la poesia ritroverà il posto di centralità che merita all’interno del panorama culturale mondiale. Il poeta, infatti, è l’artista della parola e mai, come oggi, c’è un estremo bisogno di arte, di un linguaggio costruttore di bellezza, e dunque di poesia! Nel mondo contemporaneo, dominato dalla tecnologia, è indispensabile recuperare la parte più autentica che abita l’uomo, riuscire a dare voce alla nostra parte irrazionale dove regna regina la creatività, che è alla base di ogni forma di espressione artistica, e che non potrà mai essere sostituita dalla macchina.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

Penso che si tratti di mondi differenti e, dunque, che non sia corretto parlare di competizione. L’intelligenza artificiale assembla dati, mentre la creatività è prerogativa dell’essere umano che, prima di essere carne, è coscienza…

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare? 

Sono, profondamente, legata ai miei primi cinque libri (tre libri di poesie, una favola poetica e il mio primo romanzo dal titolo “Gli occhi di Asha”) che ho pubblicato con quattro diverse case editrici e di cui, essendo scaduti tutti i relativi contratti di edizione, ho recuperato i diritti. Nel 2024, ho autopubblicato su Amazon, il mio ultimo libro, un romanzo dal titolo “Muse sciamane” ed è questa l’opera a cui mi piacerebbe accennare. Si tratta di un romanzo in cui i lettori potranno, agevolmente, ritrovarsi all’interno degli intrecci narrativi e, nel contempo, essere, tuttavia, trasportati in mondi fantastici in quanto nell’opera entrano, prepotentemente, anche numerosi elementi immaginifici e poetici. È, infine, un romanzo filosofico perché è capace di fornire al lettore le chiavi per vivere con più leggerezza e gioia!



La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni? 

Viviamo tutti nella storia che, inevitabilmente, cambia, ma, a differenza della maggior parte degli adulti, i giovani conservano la freschezza di una visione della vita più libera dalle maglie mentali, più intuitiva e, quindi, più vicina al sentire del poeta. In un mondo, come quello in cui viviamo, dove tutto è estremamente veloce, sussiste, a mio avviso, l’urgenza di aiutare i giovani a recuperare la capacità di entrare nella profondità della parola che, lungi dall’essere solo uno strumento per comunicare, è prima di tutto generativa di pensiero. I giovani, meno contaminati da sovrastrutture rispetto a noi adulti, hanno solo bisogno di guide, che, in modo gioioso, catturando la loro attenzione, siano capaci di fargli riscoprire la potenza e la bellezza della parola poetica.





domenica 25 maggio 2025

Chuck Berry e la poesia che si balla

Per la rubrica: Archeologia Musicale, e poi arrivò il rock and roll,  e nulla fu come prima... 



Si può accelerare il blues più sostenuto e il Country più concitato, si può accelerare ancora di più. Si può accelerare il Rhythm and Blues più veloce, sì, si può accelerare ancora di più. Con il Rock and Roll si può accelerare ancora di più, perché il Rock batte pulsa pompa, fa sbalzare il cuore dal petto, rende impossibile la staticità. Il corpo si deve muovere, dondolare, ballare, danzare, sballare. Dagli Stati Uniti arriva il genere musicale che sa attingere alla musicalità delle origini e presentarla come qualcosa di totalmente nuovo. Uno stile rivoluzionario che sa unire i gusti dei bianchi e dei neri, che sa vivere l’onda del presente presuntuoso degli anni cinquanta e tagliare i ponti con il passato. La poesia del corpo, la poesia che si balla. Sì, forse è un azzardo definire poesia i suoni eseguiti da Elvis Presley, Bill Haley, e, soprattutto, per me, Chuck Berry, ma è con l'azzardo che si vincono certe scommesse. Lui che ha vissuto tutta la vita all'insegna dell'azzardo. Chiudersi in uno studio di registrazione, prendere un classico del country come Ida Red, fonderlo al rithm and blues, accelerare la cadenza delle battute e tirare fuori un genere di musica totalmente nuovo (in seguito battezzato Rock and Roll), forse era un azzardo maggiore di rapinare negozi. Ma a lui è riuscito, forse perché abituato a barare con la vita. È così che è nata Maybellene. È così che è nato tutto. Da un azzardo. I testi sono semplici, è vero, ma è anche vero che sono diretti, escono in una forma di gesto spontaneo, senza filtri, dalla vita al palco. Perché è la sua vita che mette in ballo, nel senso letterale del termine. In Johnny B. Good canta di un ragazzo di campagna che vuole affermarsi nella metropoli. La fame di conquiste sociali lo divora fin da giovanissimo, spingendolo anche a delinquere e a conoscere il carcere. Canta la voglia degli adolescenti di rompere i ponti con le noiose pratiche quotidiane e con la musica del passato, come in Roll Over Beethoven o in Too Much Monkey Business. Affronta da spaccone le tematiche legate al razzismo, esaltando il fascino degli uomini di colore come in Brown Eyed Handsome Man. E poi canta del sesso, con tormentoni a doppio senso per ingannare la censura come in My Ding-A-Ling, e canta dell'amore per le donne, per le giovani donne soprattutto, che gli causerà non pochi problemi giudiziari, tanto da arrecare un arresto determinante alla sua carriera che non toccherà più i vertici dell seconda metà degli anni Cinquanta. Ma forse non sono l'unico a pensarla cosi dato che grazie ai suoi testi è stato inserito nella Songwriters Hall of Fame, e che Johnny B. Good rappresenta gli Stati Uniti d'America nella missione del Voyager nello spazio. Sono passati circa settanta anni da quando il rampante Chuck caracollava imbracciando la chitarra, con il suo celebre passo dell'anatra, ma se artisti impegnati come John Lennon, Bob Dylan, Lou Reed, David Bowie, Bruce Springsteen hanno avuto voglia di avviarsi sulla strada della musica Rock, con molta probabilità non è un azzardo così grande parlare di poesia. Chuck, tu sei poesia che balla!









domenica 18 maggio 2025

Il giorno che suonai con Jorge Pardo

Per la rubrica: Viva la Musica dal Vivo, il racconto del batterista Luca Caponi che condivide con noi l'emozione di un concerto dal sapore intimo e gioioso nato estemporaneamente in una situazione particolare… 




Diplomato in Strumenti a Percussione presso il Conservatorio “A.Casella” dell’Aquila, ha conseguito in seguito il Biennio superiore di Musica Jazz e quello di  Strumenti a Percussione con il massimo dei voti presso il Conservatorio di Roma “Santa Cecilia”. Collabora in maniera continua con Open Trios di Giovanni Bietti, con il quale registra il CD “Ludus Herodis” (Ed.MAP) e con cui, tra l’altro, ha avuto la possibilità di esibirsi costantemente. Collabora dai primi anni 2000 con Gabriele Coen (sassofonista-compositore) con il quale ha registrato 6 CD. Ha collaborato con l’attore Ascanio Celestini nello spettacolo-concerto “Canzoni impopolari”. Collabora con il chitarrista flamenco Matteo D’Agostino, con il quale registra in duo il CD “Aquí me encuentro”. Collabora con il gruppo “Así” con il quale ha registrato tre CD: “Asicomolasflores” (ed.Trelunerecords), “Luna che mira ad Oriente”, “Así” (ed.Jandomusic) ed un digital album “Shurùq”-Así Quartet (Bandcamp.com). Tra le varie collaborazioni:Il pianista-compositore Antonio Cocomazzi, con il quale registra il CD “Mare Solo” (ed.MAP) come marimbista-batterista-percussionista, il gruppo Baltabarèn (2 CD, esibizioni a Roma e dintorni e in giro per l’Italia), la cantante Nada Malanima, con la quale collabora nel tour estivo del 2000, il cantante Canio Loguercio (Auditorium di Roma 2021,Teatro Ichos di Napoli). 



Ho la fortuna di conoscere Luca da tanti anni, eccezionale sia come persona sia come musicista. Ho la fortuna di conoscere il suo talentuoso modo di suonare e non potevo non chiedergli quale fosse il concerto che più gli è rimasto nel cuore. Non se lo è fatto ripetere due volte, appunto, e immediatamente sono partiti i ricordi…

Tutti abbiamo grandi emozioni che continuano a viverci dentro come ricordi: noi musicisti collezioniamo nell’anima le impressioni assonnate dei viaggi, l’odore di polvere dei teatri, l’aria umida dell’erba intorno ai palchi estivi, il fremito di certi applausi e il tremore di alcune incertezze. Certe giornate, come nel resto della vita, lasciano un’impronta più profonda di altre. Mi piacerebbe condividere brevemente una mia esperienza che, tra tante, è stata per me molto significativa e vitale. Il ricordo è vicino, datato 7 settembre 2024, giorno in cui il mio carissimo amico Matteo D’Agostino, straordinario chitarrista, si è sposato con Patrizia, che per l’occasione ha pensato di fargli una sorpresa indimenticabile, ingaggiare uno dei miti musicali assoluti di Matteo (ed anche mio!) il flautista-sassofonista Jorge Pardo. Per chi non lo conoscesse basti dire che ha suonato per anni nello storico gruppo di Paco De Lucia e più recentemente ha vinto un Grammy per un album composto insieme a Chick Corea. Per approfondire https://es.wikipedia.org/wiki/Jorge_Pardo_(músico). 



Immagino già l'atmosfera di festa, il vino, la gioia, la condivisione… molti dei presenti erano musicisti…

L’atmosfera era naturalmente gioiosa, parecchi degli invitati lo conoscevano e condividevano la nostra emozione, gli altri sapendo che c’era un famoso musicista tra di loro che si sarebbe esibito, erano eccitati ed incuriositi. Le prove nello stanzino (io suonavo sul tavolo), prima di salire sul palco, avevano il sapore dell’avventura totale: si stabilivano stop, cambi di tempo e di tonalità mai provati, con pochi minuti per memorizzarli, con grande gioia e divertimento, con la voglia di metterci alla prova, sull’orlo dell’incertezza. Tutto andò magnificamente, la musica fu la pietra preziosa di una delle più belle serate che ricordi, i due sposi furono splendidamente onorati e la serata proseguì al tavolo tra brindisi e risate, insieme a Jorge, persona straordinariamente profonda, come musicista e come essere umano. L’atmosfera del palco per noi era completamente diversa dalle tante atmosfere diverse vissute in anni di musica: era la festa di due cari amici uno dei quali era lì sul palco con me e Mariano (cantaor e chitarrista straordinario che aveva lavorato in Argentina con Jorge ed era stato il tramite per realizzare questo incontro): tutti noi eravamo lì per fare musica e con la musica festeggiare insieme, senza nessun pensiero professionale e lavorativo. Questi sono solo alcuni dei ricordi di quella giornata (seguita da una fantastica cena a casa mia esattamente una settimana dopo, con Matteo e Patrizia, Mariano e Pilar, Jorge insieme al suo manager Reginaldo e la figlia di quest’ultimo Sayuri, cena coronata da una jam nella mia stanza “intorno a mezzanotte”, grazie al fatto che i vicini erano ancora in vacanza),

Cosa ti emozionava così tanto nel suonare con Jorge Pardo? Lo conoscevi già? 

Avevo visto Jorge esibirsi dal vivo due volte, una volta a Roma con il suo trio storico (con Carles Benavent e Tino Di Geraldo) e una volta all’ EJE (European Jazz Expo) di Cagliari, dove anch’io ero presente per suonare, ed incontrandolo a pranzo in hotel ero andato a salutarlo e a farmi una foto con lui, che gli mostrai subito in questa occasione (nello stesso festival ebbi l’onore di conoscere il chitarrista John Scofield). 

Cosa ti è rimasto dentro di questa giornata e di questo concerto?

Di quel giorno mi resta impressa la veloce scossa elettrica che sentii nel petto la mattina, mentre si scherzava e rideva, suonando sul palco con Matteo e Mariano, durante il sound check. Preso dalla musica e dall’allegria della giornata, sotto il bel sole romano di Settembre, quasi senza memoria e coscienza mi godevo il momento, finché, avvicinandosi mezzogiorno, Matteo mi risveglia, dicendo: “Ragazzi, tra 10 minuti arriva JORGE!”…



















domenica 4 maggio 2025

La poesia e l'entusiasmo

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autore Stefano Tarquini su questa cosa meravigliosa che è la Poesia. 


Stefano Tarquini è nato a Roma il 28 giugno 1978, e vive a Guidonia. È talent scout letterario e speaker radiofonico presso Read(y), editor di poesia presso Super Tramps Club, ideatore e conduttore del festival di poesia Argini, e del format streaming sulla poesia italiana Sourpoetry. Voce presso la band post core Palkosceniko al Neon, e la band spoken word L’Amorte. Ad agosto 2021 esce la sua prima silloge con Transeuropa “I giorni furiosi”. “Cucina vigliacca” esce ad ottobre 2024 con Giulio Perrone editore, ed è la sua seconda silloge. Inoltre si occupa di poesia a 360 gradi organizzando eventi culturali, reading e open mic praticamente ovunque, poetry lab nelle scuole, carceri e case famiglia.

Quando ti sei accorto che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?

Quando a 40 anni la mia vita precedente si sgretolava e un’altra prendeva forma. Non scrivevo da parecchio, mi ero dedicato di più alla musica andando a suonare in giro per tutta Italia e oltre, perdendo anche un po' di dimestichezza con questa cosa meravigliosa che è la poesia. Poi cercando di raccontare quel preciso mio momento storico è tornata come uno tsunami e non mi ha più lasciato.

Che rapporto hai con la poesia?

Meraviglioso e conflittuale. La pratico e faccio praticare ovunque, soprattutto nei laboratori che tengo con una certa frequenza ed un certo entusiasmo. Scrivo tutti i giorni divertendomi con la parola e con quello che c’è dietro. Porto avanti il mio grande sogno e cioè quello di lavorare come editor di poesia, figura che ancora non è del tutto riconosciuta, mentre invece l’editor in narrativa è una figura professionale sdoganata e a volte supera di fama l’autore del libro a cui lavora.

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

Fa tutta la differenza del mondo. Se ti guardi intorno in ogni campo della comunicazione stiamo rischiando il fondo del barile. Il ventennio di Berlusconi ha distrutto quasi interamente l’impeto culturale di questo povero Paese. Pensa alla piattezza della musica, dei testi che scrivono i ragazzi oggi. Poi se pensiamo all’editoria non ne parliamo proprio, al netto di poche realtà sane infatti, la maggior parte degli editori sono dei tipografi beceri che campano approfittando di gente che per ego smisurato pubblica idiozie pensando di essere poeti. È un tempo veramente buio per la parola.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

Non c’è storia. E lo dico avendola sperimentata per gioco. Dopo averla istruita infatti restituisce solo piattume e luoghi comuni. L’intelligenza artificiale al momento è buona solo per le ricerche di scienze e poco altro.

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?

Mi riconosco solo negli autori che mi scuotono, sono pochi ma fortunatamente ancora ci sono. Mi riconosco quando qualcosa che scrivo mi fa sentire vivo, quindi ti direi la prossima poesia, la prossima silloge. “Cucina vigliacca” mi ha travolto di cose buone e cose orribili, lo ritengo già un capitolo chiuso.



La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?

Ovviamente si. La gioia negli occhi dei ragazzi quando faccio i poetry lab lo confermano. Niente è come praticare la poesia con entusiasmo.









 

domenica 27 aprile 2025

Clifford Brown: Il tempo di uno squillo di tromba

Per la rubrica: Archeologia musicale, il percorso che fa il jazz che prende la direzione dell'hard bop, grazie all'incontro di due geni assoluti.

Ha soltanto dodici anni Clifford quando suo padre lo invita a suonare la tromba e, certo, non può immaginare che poggiando le labbra su quello strano tubo d’ottone, che emette suoni striduli e acuti, si possa creare una magia tale da proiettarlo nel firmamento del Jazz mondiale in maniera così fulminea, giusto il tempo di uno squillo di tromba… appunto. Non può immaginare che tutto sia così veloce, troppo veloce, nella sua vita. Tutto brucia in fretta, troppo in fretta. Allora… poggia le labbra sul bocchino, chiude gli occhi e soffia… Soffia e sogna... Nel suo sogno c’è l’incontenibile volontà di imparare tutto molto rapidamente, supportata da una naturale predisposizione. Impara presto, infatti; impara a emettere il fiato, riuscendo a eseguire trentadue battute con un unico respiro, impara a muovere le labbra e la lingua per modulare e intonare le note, a gestire la muscolatura delle guance per evitare sbavature sonore. Impara a dirigere l’aria che passa dal tubo attraverso la giusta digitazione sui pistoni; impara a sincopare i volumi attutendo la campana. Il risultato della sua caparbietà è che, adesso quando suona, la melodia sfila in maniera fluida, in perfetta sintonia con l’armonia… quello che lui fa con la tromba è una magia. Non sembra neanche una tromba; è soltanto suono, l’unico suono che il brano che in quel momento vive possa avere. Il suo talento non passa di certo inosservato; quando ancora frequenta l’università tra i suoi estimatori si possono elencare nomi illustri del panorama musicale come quelli di Dizzy Gillespie e Fats Navarro. Ha soltanto ventidue anni quando completa i suoi corsi di studio ed inizia le collaborazioni con i grandi musicisti dello Swing e del Bebop, come Lionel Hampton e Tadd Dameron. La sua inconfondibile arte riesce a dare un segno sostanziale a registrazioni tenute con Art Blakey e Sarah Vaughan. L’incontro della vita, però, avviene nel 1954, quando entra nell’orbita del geniale batterista Max Roach. Tra di loro l’intesa è totale. Sentono l’esigenza di apportare qualcosa di nuovo alle sempre sperimentali sonorità Jazz; e sanno benissimo che per rinnovare non c’è niente di meglio che andare a scavare nel passato, nelle tradizioni musicali delle proprie radici culturali. Il Blues delle origini è il loro luogo di esplorazione più idoneo. Così prendono le vecchie melodie e ne sviluppano le armonie lasciando più spazio d’improvvisazione agli strumenti. Con loro ci sono anche George Morrow al contrabbasso, Richie Powell al pianoforte e Harold Land (poi sostituito da Sonny Rollins) al sassofono. In questo modo riescono a produrre una nuova sonorità che costituisce la struttura dell’Hard Bop. Dal vivo la loro sintonia arriva a livelli di assoluta meraviglia. Lo stesso succede in sala d’incisione dove nel 1954 registrano “Clifford Brown & Max Roach”, un album che porta semplicemente i loro nomi e che molto più semplicemente è uno dei dischi più importanti della storia del Jazz degli anni cinquanta. Contiene due pezzi straordinari diventati negli anni dei veri e propri standards del genere come Daahoud e il brano che Clifford dedica alla moglie intitolandolo con il nomignolo con cui la chiama nell’intimità e cioè: Joy Spring, oltre ad altri splendidi brani. Nel 1955 è la volta di “Study in Brown” album composto quasi esclusivamente da pezzi originali scritti dai membri della band, come George’s Dilemma e Sandu composti da Brownie (come gli amici chiamano Clifford), Lands End di Harold Land e Jaqui di Richie Powell, ad esclusione, però, di Cherokee, un vecchio standard, che è di Ray Noble, in cui si può apprezzare Clifford in uno dei più eccezionali assoli di tromba di tutti i tempi. Anche nel 1956 si possono contare diverse importanti registrazioni tra cui una tra le più rappresentative del filone Hard Bop, “Clifford Brown & Max Roach At Basin Street”, l’ultimo album inciso prima del tragico incidente che toglie la vita a Clifford, al pianista Richie Powell e la moglie Nancy che guida la macchina. Sono tanti i chilometri che un musicista deve percorrere per raggiungere i posti anche desolati, nei locali più squallidi o meno, pur di esibirsi, racimolare qualche soldo, accendere la luce della propria arte. È una vita passata in strada, a fare i conti con la benzina (sempre poca), e con il sonno (sempre tanto), guidando nelle condizioni più estreme, anche sotto il sole cocente, anche nelle notti burrascose, in cui è facile perdere il controllo. Non è il primo incidente molto pericoloso occorso a Clifford nella sua breve vita, è già sopravvissuto altre due volte. Questo è il terzo ed è quello fatale che lo consegna, nel tempo di uno squillo di tromba… appunto, al firmamento del Jazz e delle anime luminose, a meno di ventisei anni. Non poteva di certo immaginare che la sua vita sarebbe stata così corta ma, anche se lo avesse saputo, avrebbe comunque fatto le stesse cose, perché, da quando ha poggiato le labbra su quel bocchino, la sua vita ha vibrato soltanto nello squillo della sua tromba; uno strabiliante squillo… di tromba. 






Max Roach: 







domenica 6 aprile 2025

Primum movens della mia persona

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Arianna Vartolo sul percorso della poesia che, dal corpo, esce, nasce, ne delinea anche i contorni, ma quando poi è fuori, non appartiene più a chi l'ha espressa, appartiene al mondo, a chi ha voglia di leggerla.



Arianna Vartolo è nata nel 1998 a Roma. L'aiuto a non morire (Cultura e Dintorni Editore, 2019) è la sua opera prima in versi, cui segue la raccolta Derma (Arcipelago Itaca Edizioni, 2025). Compare nell'antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni Novanta per Giuliano Ladolfi Editore (2019). Di lei è stato scritto, tra gli altri, su ClanDestino, Pangea, Laboratori Poesia - della cui redazione fa inoltre parte dal 2021. Alcuni suoi inediti e lavori sono apparsi su riviste cartacee e online tra cui Atelier e Inverso (per cui ha collaborato), nonché su La bottega della Poesia del quotidiano La Repubblica - Roma. 

Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione?  

Penso di non essermene mai accorta davvero, in piena sincerità. Si respira da quando si nasce, ma non ci si fa caso. È solo qualcosa di naturale. Per me, comunicare, ha lo stesso principio: il suo processo avviene, e basta. È il primum movens della mia persona, senza con questo voler scomodare Aristotele et similia. Il farlo (anche) sotto forma di testo in versi, forse necessita di un approfondimento ulteriore. Da questo punto di vista, credo si possa tirare in ballo la mia passione per la musica. Nata sia per indole personale, sia per studio. In particolare son cresciuta a “pane e prog”: da quando ero piccolina, ne ho assorbito in varie forme i tempi dispari e le tecniche raffinate di esecuzione. Chiaramente, non solo del progressive; coltivo sempre certosinamente l’approfondimento di realtà musicali a me già note, tanto quanto la scoperta di quelle a me ancora ignote. È un richiamo a cui non ho mai resistito; e in fondo, mi dico, perché avrei dovuto? Da un certo momento in poi, credo sia divenuto semplicemente inevitabile formulare nel pensiero frasi che si unissero a una qualche forma di melodia. Probabilmente, sotto tale ottica, la poesia ben si sposa e (appunto) armonizza con questo. Altra importanza, poi, assume l’aspetto dello scavo etimologico nelle parole: ricordo che mia mamma, sin da tenera età, ha sempre stimolato in me e mio fratello la curiosità di sviscerare cosa significasse cosa e perché. Crescendo, questo esercizio catabatico di perforazione attraverso i vari strati dei termini così come li conosciamo oggi, non ho mai smesso di praticarlo. Ed è un piacere costante di scoperta, soprattutto per la potenza evocativa che ne può risultare di volta in volta.

Che rapporto hai con la poesia?  

Qualcosa di molto molto simile a ciò che ho già scritto nella risposta alla domanda precedente: esercizio, scoperta, messa alla prova della parola nella sua forza evocatrice; vedere fin dove può spingersi l’implicito con la sua capacità di mostrare, invece, esplicitamente. Attraverso il ritmo, la musicalità di termini diversi messi in dialogo tra loro, la loro etimologia. 

E cosa questo può far nascere nell’animo di chi legge.

È un modo, forse, anche per educare un equilibrio tra proiezione e introiezione; per trovare quel punto intermedio che lasci semplicemente la visione in sé – immediata.

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico? 

La parola, a oggi, conta moltissimo. Ma forse nel modo sbagliato. Se ne abusa, sì, per attirare un’attenzione finalizzata al consumo: la si è fatta schiava di un sistema capitalistico e tendente sempre più alla mercificazione. La parola dunque si piega all’uso e all’utilità. Lavoro maneggiando linguaggi di marketing e comunicazione: nella mia testa e sulla mia lingua girano costantemente termini come SEOkeywordsvisibilitàattraversoparolechiaveottimizzazionediricercaetcetcetc. Personalmente lo trovo molto affascinante, non lo nego. Ma mi rendo conto di quanto le parole divengano sempre più uno strumento rivolto al profitto. In qualsiasi ambito, da quello della politica mondiale a un post sui social. In parte ancora ci salviamo, però. Io mi voglio concentrare lì.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale? 

Parto dal presupposto che ho sempre pensato (ma change my mind) che l’essere umano non vada incontro a un progresso, quanto più a una complicazione. L’AI trovo sia qualcosa di rilevante e rivelante a ogni livello; di certo spaventa (mi viene in mente il mostro di Frankenstein: creato da qualcuno senza che lui potesse saperlo o volerlo, gettato nel mondo e poi ripudiato perché spaventoso e ritenuto pericoloso dal suo stesso artefice) per le implicazioni che può avere nella sostituzione a molte figure che ricoprono ruoli nel mondo del lavoro, ma credo sia invece importante capirla. Indagare che sorta di spunti può darci, a che tipo di nuovi fronti può condurci. È un modo per interagire con qualcosa di totalmente distante da noi – in quanto esseri umani in “dialogo” con una voce artificiale – ma da noi creata. Già questo punto di vista suscita in me diverse riflessioni che partono sicuramente dalla fascinazione per i paradossi o giù di lì. E, oltre all’interazione, soprattutto penso possa essere un’integrazione importante per qualcosa che ancora non conosciamo; ancora non abbiamo capito né visto. Ma arriverà. Bisognerà di certo porre attenzione a quella tipica inclinazione all’onnipotenza che è insita negli esseri umani; credo che non cedendo a quest’ultima, il rapporto con l’AI potrà portare migliorie non indifferenti.

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare?  

La fase più bella della scrittura, per me, è quella in cui la parola esce da me. Non è più mia, non sono più io. È chiunque e di chiunque arrivi a leggerla. Con questa breve premessa voglio dire che non mi riconosco in alcuna mia opera. Riconosco l’opera in sé: ne conosco la storia, l’ho seguita, accompagnata – per ovvie ragioni. Ma non ci sono più io lì una volta che defluisce dalla fonte. Incontra gusti, stati d’animo, luci sul foglio o luminosità diverse su un desktop. Toni caldi toni freddi di una carta su cui viene stampata o dello schermo dello smartphone su cui viene letta. Io queste cose le immagino spesso: chissà cosa dove quando perché. È potente la libertà che riconosco a una creazione, e la voglio pienamente rispettare. Per non lasciare irresoluta la risposta posso dire che tengo molto a Derma, la mia ultima raccolta edita da Arcipelago Itaca Edizioni (2025): è un percorso che porto avanti da anni, iniziato nel 2018. Partì con una mail inviata a Giulio Mozzi, scrittore e intellettuale da me da sempre fortemente stimato. Proseguì poi sull’onda di letture e conoscenze e dialoghi con autori/autrici che poi son divenut* amic* car*, o che lo erano già. Raccoglie suggestioni musicali (appunto), cinematografiche, letterarie. E la vita, certo. Lo chiamo tra me e me itinerario di carne proprio perché traccia una mappa di quella che è la trasformazione di un corpo. Di come l’abbiano seguita i miei occhi. È stato un lavoro lungo, paziente, di profondo ascolto. E adesso è nel mondo, e al mondo appartiene. 


La Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni? 

Dal (molto basso) dei miei ventisette anni, penso proprio che non ci sia età per comunicare con la poesia. E che una luce rimarrà sempre accesa, senza doverci preoccupare di pagarne la bolletta.