domenica 14 gennaio 2024

Vincenzo Consolo: “Nottetempo, casa per casa” (1992)

 



Un continuo interrogarsi su cosa sia la Verità in Letteratura riversato in ogni singola frase dei suoi scritti, dei suoi romanzi in particolare. Perché un romanzo, per quanto sia realista, comunque è una finzione filtrata dal pensiero dello scrittore. Senza questo filtro sarebbe fredda cronaca, si potrebbe pensare. Invece è calda la narrazione di Consolo, complessa e avvolgente. Musicale come i versi di una poesia: la lingua più vera che un autore possa parlare. L'idioma personale interiore: soltanto questo è Realtà. All’interno del suo fluire linguistico ci sente dondolati in un continuo assaporare frutti di parole succose o dal gusto sconosciuto ma comunque stimolanti, attrattive e godibili. Quando nel 1992, pubblica “Nottetempo, casa per casa”, Vincenzo Consolo si interroga principalmente sulla veridicità storica del suo romanzo. Sceglie, infatti, di ambientarlo nella cittadina siciliana di Cefalù negli anni Venti. Proprio in quel periodo in cui si rafforza il potere del regime fascista e si fanno più aspre le lotte proletarie, i cortei socialisti e quelli anarchici, gli scontri duri con gli scagnozzi dei proprietari terrieri e le milizie della dittatura. Un affresco corale in dodici piccoli capitoli che colgono un momento delicato della società siciliana, un arco temporale che vede il primo variare di valori contadini verso corrompenti deliri edonistici e superomistici. Il personaggio di Petro, un ragazzo che assiste in prima persona a questo cambiamento epocale, forse, è il vero protagonista. O forse è il tessuto connettivo di un romanzo che non ha una vera e propria trama ma un insieme di quadri da cogliere nella loro totalità. Con un tema centrale che ruota intorno alla formazione del giovane. Proveniente da una famiglia proletaria, in cui l’assenza di punti di riferimento ha seminato il germe della follia. Suo padre vaga infatti nella notte ululando alla luna come un lupo mannaro, e la sorella… costretta a lunghi ricoveri per la debolezza psichica. Petro avverte fortemente l’esigenza di emanciparsi, di distaccarsi da una cultura intrisa di superstizioni e destini già scritti da retaggi obnubilanti. Comprende grazie alle varie esperienze formative che si può elevare socialmente grazie alla scrittura e alla cultura; ma per attingere alla vera cultura si deve allontanare. Petro, probabilmente, è la  vera proiezione autobiografica dell’autore di Sant’Agata di Militello, in questo romanzo. Rispecchia il pensiero che la scrittura deve essere impegno e riscoperta linguistica. Un concetto che si può esaudire soltanto se si conosce profondamente una storia e le dinamiche sociali di questa storia. Cosa si può conoscere meglio dei propri luoghi natii? Niente. Assolutamente niente. Così Consolo, attua la sua ricerca linguistica nella memoria filologica isolana, vera matrice culturale, e ambienta le storie nella sua terra, come del resto altri grandi scrittori siciliani. Una lingua che ha visto le stratificazioni delle varie dominazioni che si sono succedute e Consolo sembra volerle ripercorrere tutte, architettando un suo idioma, stratificato, appunto, ricco, complesso, pastoso. Ogni descrizione è coinvolgimento di tutti i sensi, un viaggio nella luce greca, nel colore arabo, nel barocco spagnolo, nella ricercatezza francese. Un flusso di lava e magma che, se non assecondato, travolge; ma a travolgere è la poesia. Ogni stazione, simile a quelle di una Via Crucis, è uno schizzo poetico che imprime valore impressionista. A quella di Petro si intrecciano le storie di altri personaggi. Uno di questi è Aleister Crowley, occultista inglese, che arriva a Cefalù con la sua nutrita schiera di adepti. Occupa una villa in cui istruisce il suo tempio e predica la sua religione, caratterizzata da riti orgiastici, baccanali in preda a droghe e sostanze di ogni tipo, libertà individuale e di azione. Questa ventata di seducente magia nera inonda tutto, tutto… ogni angolo del paese e la mente degli abitanti più ingenui. Janu, il giovane pastore, amico di Petro e innamorato della sua sorella pazza, viene investito in pieno da questa ondata di perversione sessuale e allontanato dai suoi valori primigeni. Janu ruberà del bestiame per la festa del paese e verrà arrestato per questo reato. Le scorribande della cricca di Cowley proseguono anche oltre la morte della neonata figlioletta del loro sacerdote ispiratore. Oltre ogni sonno della ragione. Il barone Cicio, accanito su una stupida eredità, è il vero antagonista di Petro. Il barone esaltato dal mito dannunziano, aderisce senza pensarci due volte alle forze fasciste che proprio in quegli anni prendono campo imponendo il rigido pensiero della tirannia. Non c’è, però, un protagonista o un antagonista. Forse la vera protagonista è la Sicilia, colta in quel determinato periodo storico con le sue dinamiche socioculturali, osservate in ogni suo aspetto. O forse è la lingua di Consolo, che, si ribella all’italiano, non per rivalutare i dialetti, ma per riscoprire vocaboli e con essi il senso e il sentimento che veicolano. Vincenzo Consolo viveva a Milano e di tanto in tanto tornava in Sicilia, anche per il suo lavoro di giornalista, e quando rimetteva piede nella sua terra, la girava in lungo e in largo, con la voglia di scoprire sempre qualcosa di nuovo o per riassaporare gli antichi sentori. Frequentava i suoi amici di sempre, Leonardo Sciascia e Lucio Piccolo. Anche grazie ai loro scambi filosofici prosegue la stagione dell’impegno nella Letteratura siciliana in opere che lo hanno portato alla ribalta nazionale come “Il sorriso dell’ignoto marinaio” (1976), o “Lo spasimo di Palermo” (1998), opere che ripropongono questa stratificazione tra storia e visione poetica. O in racconti che si avvicinano al barocco surreale come “Lunaria” e “Le pietre di Pantalica”. Senza dimenticare mai, ovviamente, l’immensa problematica legata al fenomeno mafioso. Un impegno durato fino alla definitiva dipartita da questo mondo avvenuta nel 2012. Volendo allinearci ai suoi ragionamenti: ogni volta che si perde il senso si perde la lingua… e bisogna allontanarsi, per ritrovare la lingua e con la lingua il senso. Chissà se l’autore ha raggiunto il suo personaggio Petro, il giovane, creato dalla sua stessa penna e che più gli assomiglia, che ha visto vagare il padre in preda alla follia e la sua terra arrendersi al trionfo del vuoto di senso, imbarcandosi clandestinamente per una terra, da dove poter osservare da lontano e sognare una nuova lingua e nuovo senso.



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