domenica 23 febbraio 2025

Bo Diddley: Un nome, infiniti significati, un segno

Per la rubrica: Archeologia musicale,  la storia di uno dei musicisti che ha contribuito a traghettare i suoni delle radici verso il rock.



Ellas Otha Bates è abituato da sempre a cambiare nome; in realtà fin dalla nascita è abituato a cambiare quasi tutto della sua vita: madre, città, strumenti... quindi che vuoi che sia un nome. È nato nello stato del Mississippi da una ragazza madre che da subito lo affida alla cugina più incline ad accogliere e sfamare una nuova vita, vista la già numerosa famiglia che ha sulle spalle. Dalla nuova madre prende il nome McDaniel. Così fino a diciotto anni si fa chiamare Ellas McDaniel. Ha soltanto sei anni nel 1934 quando con tutta la famiglia è costretto a trasferirsi a Chicago ma i suoni della sua terra d'origine gli rimarranno sempre dentro. Il cambio di città probabilmente non è per lui un evento traumatico perché legato ad un esodo di massa che coinvolge gran parte degli stati del sud a causa della crisi finanziaria che negli anni trenta colpisce l'America, e anche perché nella nuova città, oltre la vecchia gente, ad accoglierlo ci sono anche nuove sonorità e nuove opportunità. Viene educato alla religione, al pugilato e al violino, strumento che lui suona egregiamente. La musica è più che una passione, è vita... e nella vita c'è sempre un primo amore che travolge, rivoluziona, e fa sentire come illuminato... la scintilla che fa scattare il sentimento è l'ascolto del blues di John Lee Hooker che con il suo stile rude e lamentoso lo riporta alle radici. Gli anni di esercitazioni al violino sono stati fondamentali ma è arrivato il momento di cambiare strumento; inizia a suonare la chitarra e a costruirsele da solo, è il liutaio di se stesso. Sono leggendarie le chitarre rettangolari e variamente decorate da lui ideate. Suonando agli angoli delle strade della windy city conosce Jerome Green, suo fidato collaboratore che si presta a scuotere delle maracas arrangiate con galleggianti dello sciacquone e legumi secchi. Il duro apprendistato in strada gli fa guadagnare il soprannome di Bo Diddley che segnerà anche il definitivo cambio di nome. Negli anni si sono stratificate varie leggende su questo soprannome di cui nessuno conosce il vero significato. Forse la cosa fondamentale da capire è che non significa niente, è soltanto un suono che evoca altri suoni. Forse è un allungamento della parola Bully, bullo da strada, per la sua attitudine, nonostante l'aria da intellettuale, a difendersi con i pugni al minimo segnale di elettricità nell'aria, o forse da Diddley Bow, uno strumento a corde di origine africana fatto in casa e vista la sua abitudine a costruirsi gli strumenti da solo è abbastanza indicativo, o forse ancora da Red Saunders, batterista geniale il cui nome di battesimo era Theodore Dudley, il primo ad incidere su nastro il ritmo Hambone. La cosa più importante è che Bo Diddley non significhi niente ma che suoni bene all'interno delle canzoni che scrive. Dentro i suoi testi inserisce le esperienze di vita da strada e la fantasia visionaria delle nenie popolari. Attraverso le sue parole costruisce l'immagine dello spaccone che vanta le sue doti e sa cavarsela in ogni situazione, stereotipo appartenente alla cultura ancestrale afroamericana che ha radici antiche e che verrà ripreso in seguito da artisti esponenti del genere Rap. Aderisce totalmente al nuovo sound elettrificato degli anni cinquanta e ne diventa uno specialista con la competenza di un tecnico del suono. Nel primo singolo omonimo Bo Diddley riesce nel tentativo di attualizzare ritmi del passato contaminandoli con tecniche moderne e del tutto personali. Il brano che caratterizza in senso assoluto il suo stile, riprende ritmi africani subsahariani, diffusisi negli Stati Uniti attaverso la tradizione orale dei neri afroamericani, passando dai Caraibi, e spesso usata dai bambini dello stato del Mississippi che intonavano le loro cantilene in strada in forma di gioco. Un ritmo tribale, incalzante, ossessivo che ha nome Hambone, unito al suo modo di suonare la chitarra, dalle battute sincopate e stridule allo stesso tempo, virtuoso e aggressivo insieme. Nel partorire questo brano non poteva non conoscere brani come Blak Bottom Stomp di Jelly Roll Morton, spaccone suo illustre predecessore, genio del ragtime che inserisce la linea di basso dell'Hambone in un pezzo jazz. Jelly Roll rappresenta il prototipo di spaccone raffinato, mentre Bo Diddley incarna quello dello spaccone da strada, un po' più bullo. Soprattutto non poteva non conoscere la registrazione di Red Saunders degli anni quaranta che riportava per intero un ritornello tipico dell'Hambone. Dall'anno 1955 in cui riesce ad imporre il suo stile, lo ripeterà in altri brani come Hey Bo Diddley o Not Fade Away. L'ultimo grande successo è Road Runner del 1960, tutti brani dal ritmo irresistibile e che però non sono bastati a farlo vivere di rendita. Le sue produzioni posteriori pur se di ottima fattura non hanno ricevuto la stessa accoglienza da parte del grande pubblico. Fino alla fine della sua lunga vita e carriera, però, il suo modo di fare Rock and roll è sempre stato lo stesso e ha lasciato un segno indelebile su questo genere facendo riconoscere il suo sound come il suono originatore, per cui è impossibile non sentirsi stravolti dentro, ogni volta che si ascolta un suo brano.






Jelly Roll Morton:







 


sabato 8 febbraio 2025

Portavoce della vita psichica

Per la rubrica: Parola ai Poeti NON Artificiali, la chiacchierata con l'autrice Giulia D’Anca sulla capacità della poesia di fornire sempre, attraverso la parola, elementi di riflessione in grado di sondare l'inconscio umano,   dai tempi dei tempi.



Giulia D’Anca nasce a Catania il 30 aprile 1985. Nell’anno 2007 si laurea in Scienze della comunicazione, nel 2011 ottiene la laurea magistrale in Culture e linguaggi per la comunicazione presso l’Università di Catania. Nel 2016 consegue il dottorato di ricerca in Sociologia dell’innovazione e dello sviluppo. Nel 2020 pubblica la sua prima silloge poetica Vicino a me (Edizioni Dialoghi). Nel luglio 2021 si classifica seconda al Premio letterario internazionale Efesto con la poesia La mia terra. Nel maggio 2023 viene selezionata tra piu ̀di 700 autori self per partecipare alla penultima edizione del Salone internazionale del libro di Torino. La percezione dell’indistinto è la sua seconda silloge, pubblicata da Eretica edizioni nell’aprile 2023. Nel maggio 2024 viene premiata come poeta meritevole di segnalazione alla decima edizione del Premio nazionale Terra di Virgilio di Mantova. Risulta finalista ai premi Etnabook 2024 e Premio Zeno 2024. Nel gennaio 2025 esce la sua nuova raccolta poetica Camminamento, edita da Carabba. Attualmente è docente nella scuola secondaria di secondo grado.

Quando ti sei accorta che per te la poesia è un'importante forma di comunicazione? 

Beh, innanzitutto credo di poter affermare che, in prima battuta, io abbia sempre scritto versi - inconsapevolmente - per un tipo di comunicazione auto-diretta. La comunicazione in altre parole rappresentava un dialogo con me stessa, un dialogo introspettivo. Ad oggi penso invece che - nel mio caso specifico - la dimensione di comunicazione intima si sia accostata a un tipo di comunicazione collettiva. Scrivo perché per me è importante che la poesia assuma la forma di statuto di linguaggio universale, in cui è possibile attivare una ricerca di senso comune, sociale. Comunicare attraverso la poesia ha in ogni caso per me un significato intimista, e con la poesia aspiro a farmi portavoce della vita psichica, del modo di sentire condiviso da ogni uomo.

Che rapporto hai con la poesia? 

La poesia è una presenza quotidiana, è la compagna di cammino. Freud affermava che la poesia fosse degli insoddisfatti. Io posso affermare nitidamente che non passi giorno senza che io abbia lavorato ad una nuova poesia o abbia curato versi già da me prodotti. L’ars poetica è terapeutica, ma ultimamente oltre a rappresentare una fuga creativa è diventato un impegno serio e puntuale. Mi piace fare le cose per bene, o per lo meno, ci provo. Dedico soprattutto le ore pomeridiane o serali, quando gli impegni lavorativi lasciano spazio a un momento di concentrazione e di sospensione della realtà. Ritengo che ritrovarsi nei versi, sia propri che altrui, abbia il potere di rimettere ordine nel caos, di farci comprendere che in fondo, dalla notte dei tempi, l’uomo ama, soffre, sente, pensa nel medesimo modo.

Poesia è soprattutto lavorare con la parola, quanto conta ancora la parola in questo periodo storico nel suo massimo abuso telematico?

Non volendo passare per apocalittica, citando Umberto Eco, secondo il mio modo di pensare alla scrittura, la parola poetica è parola sintetica. Dunque è già in aperto contrasto con il massiccio fluire di parole, immagini, dati del web. Ho sempre pensato che la poesia avesse proprio il compito di porre un freno, di invitare alla stasi, alla riflessione, di condurre il lettore a un momento di quiete, e la quiete comprende silenzio, pensiero. Tutto questo è chiaramente in netto contrasto con il mondo odierno e con il modo attuale di fare comunicazione, massiva, intrusiva, invasiva. Dunque non importa che si mettano in piazza un massiccio numero di parole ma che le parole usate siano qualitativamente significative.

Come può la parola umana competere o interagire con la parola dell'intelligenza artificiale?

La parola umana in questo momento storico ha senza dubbio un grande competitor. C’è anche da dire che – come per tutte le rivoluzioni tecnologiche - non è possibile arrestare il movimento; l’unico sentiero percorribile è quello di accogliere il cambiamento cogliendone le opportunità e gli aspetti positivi, fermo restando che l’esercizio umano della parola resti inviolabile e di fondamentale importanza. Pertanto ammetto che sostituire tout court l’intelligenza artificiale al ragionamento e alla capacità umana di produrre pensieri propri possa essere un grande rischio.

Qual è la tua opera in cui ti riconosci di più? Ce ne vuoi parlare? 

Tutte le mie opere in qualche modo mi rappresentano e rispecchiano le diverse fasi della mia vita. Ad oggi posso dirti che Camminamento sia più in linea con la persona che sono adesso; abbraccia i cambiamenti che ho vissuto negli ultimi tempi e anche il mio evoluto modo di scrivere. Camminamento rappresenta l’evoluzione del mio modo di esprimermi in versi, in cui rimane però invariata la priorità, il vigore e l’incisività dell’inconscio come forza motrice di ogni atto e processo creativo che pongo in essere. Il linguaggio onirico di questa silloge rappresenta un continuum con i miei lavori precedenti ed è la mia cifra stilistica.



L
a Poesia può ancora comunicare alle nuove generazioni?

La poesia comunica a chi ha da comunicare, ma immagino che richieda una maturità di pensiero in chi la riceve. Decriptare i messaggi poetici non è lavoro da poco. Ciononostante credo sia fondamentale poter offrire alle giovani generazioni occasioni di lettura, fornire loro le opportunità per una crescita e un’educazione emotiva attraverso la letteratura. A breve organizzerò assieme alla scuola nella quale lavoro una presentazione del mio nuovo libro, proprio con l’auspicio che possa essere di stimolo e possa fornire un input a quegli studenti che abbiano la necessità di mettere in pratica la loro creatività.