giovedì 27 ottobre 2022

La mia intervista a Chiara Salvati

 La danza, tra tradizione e modernità (2018)



La danza può avere diverse sfaccettature e Chiara Salvati è una danzatrice che, grazie 

al suo ondivago percorso formativo, è riuscita a trovare la giusta sintesi tra spinta 

spirituale e sensualità dei movimenti. La sua ultima ricerca si concentra sulla danza 

tradizionale Sufi su cui sovrappone le sue capacità coreografiche, dettate dai 

sommovimenti interiori. Ho assistito ad una sua esibizione all’Auditorium Parco della 

Musica durante il concerto Jazz degli Erodoto Project ed indubbiamente colpisce la 

sua capacità di veicolare emozioni profonde attraverso una danza che è 

principalmente basata sulla rotazione. Il suo roteare è, battito di cuore, pulsazione di 

luce, sbocciare di fiori, partendo dal buio interiore.

Ho incontrato Chiara Salvati per approfondire qualcosa di più del suo modo di 

danzare e della sua vita.


Ciao Chiara, devo inevitabilmente partire dall’ultima tua esibizione romana per 

iniziare a conoscere qualcosa in più della tua arte. Il tuo modo di muoverti mostra 

una naturalezza assoluta in questo tipo di ballo e mi viene da chiederti, per te che 

sei romana come è successo di approdare alla danza Sufi? E cos’è la danza Sufi per 

la tradizione islamica?


Il mio incontro con la danza SUFI è avvenuto molto prima di conoscerla: mia madre 

mi racconta che quando avevo una manciata di anni volevo sempre indossare le sue 

gonne lunghe e girare. Molti anni dopo, durante un ritiro di meditazione, un 

insegnante che mi aveva visto girare mi parlò dei SUFI e dei dervisci rotanti. A partire 

da quel momento la mia ricerca ha preso la direzione che, senza saperlo, stavo 

cercando da tempo. È stato come tornare a casa. La danza tradizionale Sufi, Sema, è 

un rituale religioso praticato all'interno dell'ordine Sufi dei Mevlevi. È un atto 

devozionale altamente strutturato e codificato, che acquisisce un particolare 

significato solo all'interno di quel contesto. Sperimentare tale rituale è stata 

un'esperienza toccante, tuttavia credo che l'essenza del giro, cioè una connessione 

profonda con noi stessi e l'esistenza, è qualcosa che possiamo sperimentare anche al 

di fuori del contesto religioso ed è questo il modo in cui lo propongo.


La danza rotante era già nel tuo DNA, quindi, fin dalla nascita. Poi, però,

crescendo hai trovato l’elemento che esprimesse meglio la tua interiorità; c’è 

qualcosa di più per te nella danza Sufi?


Si, c’è qualcosa di più. Prima di essere una danza, il giro è una porta che si apre verso 

l’interiorità e l’Esistenza: ti riporta ad una dimensione umana, infinitamente piccola, 

e poi ti spinge oltre. Certe volte mi sembra di dissolvermi, è come essere lo strumento 

di una grande energia che per un istante si trattiene nel corpo. Sono immensamente grata a questa pratica, mi ha permesso di conciliare due mondi che fino ad allora

avevo vissuto separatamente, l’arte e la ricerca interiore.


È strano parlare di ricerca interiore attraverso la rotazione... Ti ho visto roteare per

quasi dieci minuti ma so che puoi farlo anche per ore e ore, come si può

realizzare una cosa del genere? Qual è la sensazione principale che ti trasporta

durante la rotazione?


È come intraprendere un viaggio, la rotazione è il mezzo di trasporto, il corpo fornisce

il carburante, ma si usano gli occhi del cuore e i paesaggi sono interni. Il tempo

permette di andare gradualmente in profondità, anche se se ne perde la cognizione.

Si può apprendere la tecnica del giro ma ciò che permette l’esperienza è l’apertura

mentale, la disponibilità all’ascolto, il lasciarsi guidare. La sensazione è che qualcosa

si dissolva e poi torni a riunirsi.


Questo bellissimo concetto di dissolvenza e ritorno all’unità sembra indirizzare

verso uno stato di benessere interiore, l’unità più sana di ognuno di noi. In

qualche modo la scintilla infinita in ogni interiorità può ricongiungersi con l’infinito

dell’universo?


Credo che quella scintilla non si separi mai dall’universo, siamo noi che crescendo

costruiamo le barriere che ci allontanano da essa. Il viaggio interiore è un cammino

di ritorno all’Essenza e, a differenza di come lo descrive la new age (hahaha), è tosto:

ti sbatte in faccia gli aspetti peggiori dell’essere umani e ti espone al dolore di

vecchie ferite. Ma poi da qualche parte la luce entra: c’è un incredibile grazia nel

lasciare andare.


È impossibile non passare attraverso la sofferenza... Mi sembra di capire che,

quello che proponi, è un rituale di trasformazione interiore simile all’opera

alchemica; questa è anche l’intenzione del tuo percorso creativo?


Vivo ogni creazione proprio come un rituale. Anche se i contenuti attingono spesso a

vissuti personali, mi piace indagare quegli aspetti della fragilità umana che

accomunano tutti noi. La danza mi permette di esplorarli e viverli in una nuova

chiave...che piaccia o meno, ciò che importa è che sia vera, che permetta, a chi la

osserva, di riconoscere parti di sé e di lasciarsi condurre nello stesso viaggio.


Il tuo percorso creativo, basato sulla conoscenza profonda di questo tipo di danza,

ti ha permesso di sovrapporre movimenti appartenenti ad altre danze e

raggiungere la sintesi degli opposti, donando sensualità ad una danza spirituale… è una mia visione o può corrispondere un po’ anche alla tua visione?


Si, all’interno della rotazione, che è al centro delle mie performance, confluiscono

anche altri linguaggi. Per esempio i giri della testa, i movimenti fluidi di braccia e

mani, le rotazioni del busto, sono degli elementi espressivi che caratterizzano le mie

creazioni. È un modo personale di vivere e ricreare questa danza che chiamo “giro

poetico”. A volte mi chiedo se spiritualità e sensualità possano coesistere,

sinceramente non lo so. Ma quando leggo le poesie di alcuni mistici, Sufi e non, credo

che sia una sintesi possibile.


Io credo che anche tu ci riesca. E vederti ballare mi ha fatto pensare ad alcuni dei

miei poeti preferiti, Rumi, a proposito di Sufi, John Donne o Juan de la Cruz.

L’esibizione che ho visto io era all’interno di uno splendido concerto Jazz basato sul

dialogo interculturale, hai in programma altre collaborazioni o un tuo spettacolo

personale?


Entrambi! Sia in Italia che in Spagna collaboro con diversi musicisti, non solo di

musica tradizionale, mi piace esplorare anche altre sonorità se trovo la giusta

ispirazione…come è stato con il bel concerto jazz di Erodoto Project! Lo scorso

settembre ho presentato a Barcellona un primo studio di “voces”, uno spettacolo

personale cui desidero lavorare ancora un po’ e magari portarlo prossimamente in

Italia!


Speriamo, allora, che arrivi il più presto possibile in Italia. Anche se tu hai scelto

di vivere in Spagna, a Barcellona, e mi sembra di capire che le possibilità sono ben

diverse rispetto a quelle italiane… ci dici qualcosa in più delle due realtà?


A Barcellona mi sento a casa, è una città bella e con un gran fermento artistico. Tra le

varie risorse, trovo bellissimo che esistano ancora i centri di quartiere, delle strutture

perfettamente attrezzate che oltre ad offrire una vasta programmazione artistica

sono un importante punto di incontro tra diverse generazioni. Del resto anche Roma

è meravigliosa e artisticamente viva, solo che non sempre è facile trovare spazi

adeguati. Per questo trovo importante che esistano movimenti sociali volti a

costruire nuove realtà di condivisione e creatività.


Fortunatamente i tuoi legami artistici con il nostro malconcio Paese sono ben saldi

e quindi ti vedremo spesso. Qual è il prossimo impegno italiano?


Per il momento so che starò in Italia a settembre, con performance e seminari sia a

Roma che in Toscana. A breve verranno pubblicate le prossime date!


Per salutare i lettori sapresti indicare un percorso per intraprendere tale

attività artistica?


Ma certo, prima di tutto direi loro di venire ai miei corsi, hahaha!

Il mio consiglio è di imparare tanto e da chiunque, di trovare insegnanti bravi ma che

sappiano trasmettere anche da un punto di vista umano, di appassionarsi e di

ricercarsi...perché nell' arte, dopotutto, possiamo metterci solo quel che siamo e per

farlo, almeno un pochino ci dobbiamo conoscere...no?


Io ti ringrazio per la disponibilità e per questa profonda chiacchierata che ci ha

dato modo di apprezzare una danza appartenente alla pratica tradizionale ma in

una tua chiave personale e moderna.


Ringrazio te Gabriele per l'interesse e per lasciarmi condividere ciò che mi sta a cuore. Grazie ai miei maestri, di vita e di danza,senza i quali oggi non avrei ciò che posso dare. Alla mia famiglia per insegnarmi a lottare per ciò che voglio e agli amici, per credere in me più di quanto a volte non faccia io. Un saluto, alla prossima!

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