domenica 11 giugno 2023

Antonio Pizzuto: “Si riparano bambole” (1960)

                                                    


Sino a che punto si può distruggere la letteratura e fare ancora letteratura... Fino a che punto si può scomporre un periodo, una frase, spianando i tempi dei verbi, il presente, il passato, il futuro, in un tempo unico infinito, finito nel nucleo delle parole… Il soggetto fuso con l’oggetto. L’azione fusa con il pensiero. Il pensiero del personaggio fuso con quello dello scrittore, in una forma che viene denominata: flusso di coscienza. Applicato alla psicologia di un personaggio senza coscienza, perché per lo scrittore è più importante la descrizione dell’attimo e del perdersi in esso, per poi perdersi in un altro ancora, un perdersi per riperdersi. Con parole conosciute, parole inventate, neologismi, parole desuete, arcaicismi introvabili, improbabili, inglese italianizzato, francesismi, greco, latino. Tutto pestato, triturato, setacciato per estrarre dalla parola grezza la quintessenza della nota musicale… Questa la sfida di Antonio Pizzuto, quasi dimenticato, scrittore palermitano che ha dedicato I suoi anni, della pensione post lavorativa, a trovare nuove forme narrative, mettendo sulla carta le esperienze immaginate o quelle vissute durante il periodo in cui prestava servizio come dirigente della polizia internazionale per il governo mussoliniano. Una sfida questa che ha visto coinvolta gran parte della letteratura del Novecento. Ci ha provato James Joice, con l’Ulisse, ci ha provato Tristan Tzara, inserendo il concetto di caso nell’atto volontario dello scrivere. Ci ha provato Man Ray, presentando delle cancellature laddove ci dovevano essere dei versi. In Italia ci ha provato Carlo Emilio Gadda, con il suo “pasticcio” linguistico. Contemporaneamente ci stava provando, sulle coste messinesi, Stefano D’Arrigo ma la monumentale stesura del suo “Horcynus Orca” ha notevolmente ritardato l’uscita del suo lavoro avvenuta nel 1975, quindici anni dopo l’opera di Pizzuto “Si riparano bambole”. Lui invece se ne stava a Fregene, nel suo scarno appartamento, riscattato per avere ricoperto cariche istituzionali, che usava quasi esclusivamente come un pensatoio. Possedeva una vasta cultura, forte di due lauree, una in giurisprudenza e l’altra in filosofia, parlava molte lingue, per questo motivo aveva ricevuto incarichi di intermediario per la polizia internazionale, in molte zone lontane d’Europa e del mondo; in famiglia ha da sempre respirato una densissima aria culturale, grazie alla madre, la  poetessa Maria Amico e al nonno Ugo Antonio Amico, filologo e letterato nella Palermo di fine Ottocento, ma, se gli si chiedeva quali fossero stati i suoi insegnanti, lui senza ombra di dubbio rispondeva: la musica. Consapevolmente, o meno, il suo stile letterario si avvicina alla partitura musicale, in special modo quella del Jazz. Una stesura che prevede la partenza da un nucleo di parole, da cui prende vita un altro nucleo, e poi un altro ancora, per quindi ritornare a quello principale; una parola stonata, metafore scorticate fino all’osso: una parola infreddolita e esuberante, buttata lì nel mezzo del calderone descrittivo. Un assolo: una metafora che da sola fa già un racconto. Brusche deviazioni di tema, percorsi oscuri con finale sfavillante. Poi una parola squillante. In “Si riparano bambole”, il protagonista non-protagonista è Pofi e la sua vita, personaggio che fluttua tra le correnti ondivaghe della trama non-trama. Ricordi e fantasie s’intrecciano senza sapere dove finisce uno e inizia l’altro. La vera protagonista, ovviamente, è la tecnica narrativa di Antonio Pizzuto. Un modo di scrivere a cui impartisce un forte senso del ritmo e dell’umorismo sentito. Le scene d’insieme, descritte in movimento, come in una danza, in contrasto alla statica scenografia, si fanno sempre più affollate. Un crescendo di ironia e abilità tecnica. In tutto questo, un personaggio, Pofi, che sembra non possedere la sua personalità, la sua psicologia, a tratti sembra avere la vena ermetico fantastica di Pinocchio, a tratti la lucida visionarietà di Don Chisciotte, nell'attraversare il saliscendi emotivo della sua esistenza: gli amori, le esperienze formative, il divertimento e l’impossibilità di trovare soluzioni per evitare l’impoverimento. Il finale, quindi, lascia largo spazio all’amarezza; la vecchiaia, con il suo carico di memoria, la solitudine, si può racchiudere tutta in una semplice immagine: Si riparano bambole. La cadenza vertiginosa dell’invenzione linguistica unita alla passione meridionale, inseriscono Pizzuto nel filone sperimentale che in quegli anni, a livello internazionale, si opponeva al realismo imperante nei vari campi artistici. L’opera dello scrittore siciliano dal 1959 al 1976, l’anno della sua scomparsa, prendendo in considerazione soltanto le opere edite (e non quelle giovanili seppur anche quelle di pregevole valore), si sposta in una direzione sempre più raffinata e decostruita. “Si riparano bambole” del 1960, insieme a “Signorina Rosina” (1959) e “Ravenna” (1962), si può inserire nella trilogia in cui prevale una certa forma narrativa simile al romanzo, la sua idea polimorfa di romanzo. Le opere seguenti “Paginette” (1964), “Sinfonia” (1966) e “Testamento” (1969) si spingono ancora oltre, introducendo la suddivisione in capitoletti, denominati lasse, termine mutuato dalla letteratura medievale ma con proiezioni lessicali ultramoderne, nel tentativo estremo di abbattere ogni logica, ogni tempo verbale, ogni senso. Per poi approdare alle pagelle (Pagelle I, Pagelle II, Ultime e Penultime), altra forma ancora più ardua di linguaggio, dove anche la grammatica deve rinnovarsi e spetta al lettore trovare, la logica, il senso, il tempo se lo vuole, con un’unica chiave di lettura per decifrare il ritmo, il movimento ellittico e il crescendo: la musica o la musicalità del verbo. Nel virtuosismo linguistico di Antonio Pizzuto, oltre al suo indubbio personale divertimento, da non confondere con l’autocompiacimento, c’è la necessità di trovare altre forme espressive che si possano avvicinare alle partiture emozionali che soltanto la musica può trasmettere.                                  

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